dossier-armata-rossa-giapponese

L’Armata Rossa Giapponese: breve storia di un movimento atipico

– Vittorio Bosello –

Formazione del gruppo e contesto storico

Partendo dagli Stati Uniti per travolgere l’Europa, inclusa l’Italia, la Germania e la Francia, il movimento studentesco che ha lasciato alla storiografia il 1968 come anno di sua massima espressione è ancora oggi oggetto di studio per le implicazioni politiche e culturali che ha portato con sé. In questo senso il Giappone non sembra fare eccezione.

Risulta difficile fornire un quadro completo e dettagliato delle vicende e degli sviluppi che hanno accompagnato il movimento studentesco nel corso dei caldi anni ‘60, ma è utile tratteggiare brevemente i principi fondanti delle manifestazioni, spesso con risvolti violenti, che hanno caratterizzato il periodo.

Nel contesto della Guerra fredda, in cui Tokyo era divenuta un saldo avamposto all’interno dell’ordine liberal-democratico imposto dagli Stati Uniti a seguito della sconfitta nel recente conflitto, le redini della politica giapponese erano nelle mani del Partito Liberal-democratico (LDP), di vedute conservatrici e nazionaliste.

In quella che è un’interessante differenza con movimenti analoghi nei paesi europei, la rete di opposizione al dominio del LDP sviluppatasi nella società civile del tempo, composta da organizzazioni di diversa natura, come i sindacati e le associazioni degli insegnanti, vedeva nel mantenimento dei principi delineati nella Costituzione un importante argine alle aspirazioni di riforma dei conservatori (Box & McCormack, 2004).

Nel 1960, quelle che divennero note come proteste Anpo (dall’abbreviazione in giapponese del trattato di sicurezza tra Giappone e Stati Uniti) furono partecipate da coloro che vedevano nel rinnovo del trattato di sicurezza stipulato nel 1951 un inaccettabile passo verso la rimilitarizzazione. Le proteste furono un vero e proprio unicum nella storia politica del paese: in un crescendo di tensioni all’interno della Dieta così come nel resto del paese, milioni di persone si riversarono a Tokyo paralizzando per mesi la città; in un’atmosfera a dir poco sconcertante, innumerevoli episodi fonte di grave imbarazzo e preoccupazione, nonché motivo di dimissioni per il governo Kishi, si susseguirono, con l’evacuazione per elicottero dell’addetto stampa di Eisenhower e l’annullamento della visita del presidente stesso che danno un buon esempio del clima respirabile in quei mesi (Gatu, 2015).

A partecipare attivamente alle proteste Anpo fu il movimento studentesco giapponese, ricordato dalla storiografia con il nome di Zengakuren e dalle dinamiche simili a quelle che hanno caratterizzato i suoi omologhi negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale. A distinguerlo tuttavia da movimenti contingenti nel tempo è una maggiore conflittualità legata alle dispute dottrinali, complici della perdita di forza effettiva già nei primi anni ‘60 (Sunada, 1969). Ciò tuttavia non si tradusse nella fine della lotta studentesca generale, anzi comportò un arricchimento in termini quantitativi dei gruppi che popolavano la “New Left” giapponese, o Shinsayoku, culminata con la lunga occupazione di diverse università nel paese tra il 1968 e il 1969. Da questo momento in poi, disillusi dalla linea dura mantenuta da Tokyo negli anni, alcuni militanti decisero di percorrere la strada del terrorismo per accelerare l’avvento della rivoluzione globale.

Nel 1969 fece la sua comparsa in Giappone un’organizzazione armata dai molteplici nomi, ma generalmente conosciuta come Armata Rossa Giapponese. Come accennato, le ragioni che portarono Fusako Shigenobu, figura leader approfondita in seguito, a costituire il gruppo sono sostanzialmente di tipo ideologico. A ciò però si aggiunge un notevole incremento nella concentrazione di sforzi della polizia giapponese nel 1969, tale da indurre a una guerriglia di tipo internazionale e clandestina quale unico mezzo per evitare la sconfitta (Zwerman et al., 2000).

L’Armata Rossa Giapponese fu in realtà un agglomerato di gruppi minori che presto si divisero per il globo formando cellule più o meno autonome rispetto alla direzione centrale.

L’Armata si rese responsabile di lanci di molotov e altri atti vandalici a partire dal 1969 ma alcuni membri erano noti alla polizia dal 1953, quando quest’ultima eseguì un raid in un campo di addestramento improvvisato in una località montana per sventare un potenziale attacco alla residenza del primo ministro Kishi (A., 2003).

Attacchi all’estero

Nel 1970 uno dei gruppi parte dell’Armata, il gruppo Yodo, commise il primo atto di terrorismo internazionale nella storia dell’organizzazione dirottando un aereo della JAL a Pyongyang. Qui il leader nordcoreano Kim Il-sung accolse con piacere i rivoluzionari e offrì loro rifugio per gli anni a venire. La polizia giapponese ha ricondotto diversi casi di rapimento di cittadini nipponici in Giappone e in Europa negli anni ‘70 e ‘80 ad agenti del governo nordcoreano, inclusi i membri del gruppo Yodo (Box & McCormack, 2004).

Nel 1972 un altro avvenimento ebbe grande eco tra il pubblico giapponese, fino a divenire oggetto di programmi televisivi. Un gruppo di ispirazione maoista fino a quel momento impegnato in atti di sabotaggio contro le basi americani su suolo giapponese era riuscito ad accaparrarsi diversi armamenti in seguito ad una rapina ad un’armeria, prima di trovare rifugio in Hokkaido e di unirsi all’Armata (Zwerman et al., 2000). Tuttavia, le tensioni tra i due gruppi sfociarono presto in un violento scontro in cui non mancarono torture e in cui persero la vita 14 membri.

Nello stesso anno il gruppo propriamente noto come Armata Rossa Giapponese, che avrebbe quindi reso celebre l’organizzazione nel suo complesso con lo stesso appellativo, si rese colpevole di un sanguinoso attentato all’aeroporto di Lod (oggi Tel Aviv). L’attacco trova le sue radici nel supporto riconosciuto dalla New Left giapponese al movimento di liberazione palestinese in funzione antiamericana. Negli anni ‘70 fu proprio questo atteggiamento a spingere ulteriormente il governo giapponese verso posizioni fortemente favorevoli a Israele, inimicandosi d’altra parte diversi paesi arabi (Tominaga, 2017).

L’attacco fu messo in atto da tre individui che, passati i controlli, cominciarono a sparare sulla folla fino al tragico epilogo di 26 morti e 73 feriti, a cui si aggiunge il suicidio di due degli attentatori (Tominaga, 2017). Il terzo, Kozo Okamoto, catturato e accusato di terrorismo politico, si mostrò collaborativo e confessò i motivi ideologici della strage (Steinhoff, 1976). Accolto in Libano dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Okamoto sfruttò l’asilo politico per i decenni a venire. I fatti di Lod consolidarono nel movimento di liberazione palestinese una simpatia verso il gruppo, che poté da quel momento contare su una base di appoggio in Libano per ulteriori attività (Steinhoff, 1989).

Altri attentati scossero invece l’Europa, e vale la pena citare quello che colpì Napoli il 14 aprile 1988. Junzo Okudaira, rimasto latitante da allora, uccise con un’autobomba quattro civili e una soldatessa americana di fronte al circolo ricreativo statunitense OSU, in via Calata San Marco. Le motivazioni dell’attentato sono legate alla campagna di bombardamenti statunitensi cominciata in Libia due anni prima (2021).

Fine del movimento e il lungo processo a Fusako Shigenobu

Divenuta celebre in Giappone e all’estero con i suoi libri, la fondatrice dell’intera organizzazione, Fusako Shigenobu, dichiarò la fine ufficiale del movimento nel 2001 dopo la sua cattura ad Osaka nel 2000 (2022). In un processo durato diversi anni a Shigenobu furono imputati più capi d’accusa, tra cui un attacco all’ambasciata francese all’Aia nel 1974 e l’ottenimento con mezzi illegali di un passaporto falso (2006).  La scarcerazione della ribattezzata “imperatrice del terrore” è avvenuta a maggio del 2022, al termine di una detenzione durata più di vent’anni. Grazie anche al lavoro di attivismo portato avanti dalla figlia, Mei Shigenobu, oggi la sua figura viene riscoperta da alcuni attivisti che ritengono abbia comunque avuto il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica giapponese temi di grande rilevanza come la questione palestinese (Grunow, 2022).

 

A., S. J. A. (2003). Dictionary of the modern politics of Japan. Routledge.

Box, M., & McCormack, G. (2004). Terror in Japan. Critical Asian Studies, 36(1), 91–112. https://doi.org/10.1080/1467271042000184607

Gatu, D. (2015). The post-war roots of Japanese political malaise. Taylor & Francis Group.

Guardian News and Media. (2022, May 28). “EmPress of Terror”: Japanese Red Army founder released from prison. The Guardian. https://www.theguardian.com/world/2022/may/28/empress-of-terror-japanese-red-army-founder-released-from-prison

Grunow, T. (2022, June 15). Commentary: William Andrews, Shigenobu Fusako and the haze of cultural memory. Critical Asian Studies. https://criticalasianstudies.org/commentary/2022/6/15/commentary-william-andrews-shigenobu-fusako-and-the-haze-of-cultural-memory

Kuriyama, Y. (1973). Terrorism at Tel Aviv Airport and a “New Left” Group in Japan. Asian Survey, 13(3), 336–346. https://doi.org/10.2307/2643041

Napoli. Trentatrè anni fa l’attentato Terroristico di via calata … Ministero dell’Interno. (2021). https://www.interno.gov.it/it/napoli-trentatre-anni-fa-lattentato-terroristico-calata-san-marco

NBCUniversal News Group. (2006, February 23). Japanese Red Army founder gets 20 Years. NBCNews.com. https://www.nbcnews.com/id/wbna11511046

Shimbori, M. (1964). Zengakuren: A Japanese Case Study of A Student Political Movement. Sociology of Education, 37(3), 229–253. https://doi.org/10.2307/2111956

Steinhoff, P. G. (1976). Portrait of a Terrorist: An Interview with Kozo Okamoto. Asian Survey, 16(9), 830–845. https://doi.org/10.2307/2643244

Steinhoff, P. G. (1989). Hijackers, Bombers, and Bank Robbers: Managerial Style in the Japanese Red Army. The Journal of Asian Studies, 48(4), 724–740. https://doi.org/10.2307/2058111

Sunada, I. (1969). The Thought and Behavior of Zengakuren: Trends in the Japanese Student Movement. Asian Survey, 9(6), 457–474. https://doi.org/10.2307/2642436

Tominaga, E. (2017). Japan’s Middle East Policy, 1972–1974: Resources diplomacy, Pro-American Policy, and New Left. Diplomacy & Statecraft, 28(4), 674–701. https://doi.org/10.1080/09592296.2017.1386461

Zwerman, G., Steinhoff, P., & Porta, D. (2000). Disappearing social movements: Clandestinity in the cycle of New Left protest in the U.S., Japan, Germany, and Italy. Mobilization: An International Quarterly, 5(1), 85–104. https://doi.org/10.17813/maiq.5.1.0w068105721660n0

 

(Featured image source: Unsplash Ed Leszczynskl)