DONNE E RELIGIONE: LA SPIRITUALITÀ COME FORMA DI RESILIENZA IN COREA DEL SUD
– Alice Meucci –
Introduzione
In Corea del Sud, religione e spiritualità sono due degli aspetti più significativi della vita quotidiana dei cittadini. Infatti, nonostante la maggior parte dei coreani si definisca atea[1], fin dall’antichità forme spirituali come il mugyo, lo sciamanesimo coreano, o religioni come il buddhismo e il confucianesimo, e più recentemente anche il cristianesimo e il ceondoismo[2], hanno funto da guida morale per il popolo, contribuendo a plasmare e modificare radicalmente la società coreana.
Il mugyo, prima pratica religiosa autoctona a essersi sviluppata sul territorio coreano, altro non era che il discendente del cosiddetto “sciamanesimo originale”[3], giunto nella penisola tramite la migrazione di alcune tribù siberiane. Questa forma di spiritualità arcaica è rimasta in auge per molti secoli, inglobando nel tempo elementi e influenze della geomanzia e dell’animismo tipiche delle regioni più a sud della penisola, andando a costituire le fondamenta della società coreana attraverso miti, leggende, rituali e la creazione di una religiosità politeista e aperta che, nei secoli successivi, ha permesso e facilitato l’accettazione di molte delle religioni provenienti dall’estero.[4]
Uno degli esempi più eclatanti è sicuramente il buddhismo, giunto attraverso la Cina nel 372 circa, che trovò fin da subito una forte accoglienza nella penisola proprio grazie allo sciamanesimo che ne condivideva alcuni rituali. Fu così che le due religioni iniziarono a convergere, influenzandosi e modificandosi a vicenda fino a che lo sciamanesimo prese una forma più ritualistica nel mugyo che conosciamo oggi e il buddhismo progredì fino a diventare, nel periodo Goryeo (918-1392), religione di stato, poi sostituito dal neoconfucianesimo, senza mai perdere però la propria validità spirituale.[5]
Anche il confucianesimo arrivò dalla Cina durante il periodo dei Tre Regni (300-668 circa), ma, a differenza del buddhismo, non trovò subito una pari accoglienza, rimanendo relegato principalmente tra i nobili letterati delle varie corti.[6] Fu solo agli inizi del quindicesimo secolo che, per paura di una possibile invasione da parte dell’Impero cinese, la corte coreana iniziò un processo di “rinnovamento” che prevedeva l’assunzione del neoconfucianesimo come religione di stato, andando quindi a sostituire il buddhismo. Tuttavia, alla fine del periodo Joseon (1392-1897)[7] si iniziò a notare come il neoconfucianesimo venisse considerato una corrente di pensiero filosofica e non una vera e propria dottrina spirituale in quanto, sia nella corte che al di fuori, si continuava a praticare il credo buddhista.[8]
È quindi in questo contesto che approda il cristianesimo che, attraverso la sua visione del rapporto che lega Dio all’uomo, suscitò fin da subito un grande interesse nella popolazione coreana. Infatti, essa rivedeva nella religione straniera lo stesso rispetto e fascino per la sua divinità che poteva essere ritrovato anche nel mugyo che, con il neoconfucianesimo come religione di stato, era stato bandito e relegato nelle campagne, mantenuto in vita soprattutto dalle donne.[9]
Ed è proprio del ruolo delle donne all’interno del mugyo che si occuperà questo dossier, con un particolare focus sulla questione delle comfort women e il ruolo che lo sciamanesimo coreano ha avuto nell’immediato secondo dopoguerra.
Donne e sciamanesimo coreano
Solo coloro che ricevono la chiamata iniziatica possono iniziare l’addestramento per diventare sciamani, assumendo il titolo di paksu se uomini, mudang se donne. Per quanto il ruolo di sciamano non sia una prerogativa femminile, le mudang hanno fin da sempre svolto uno dei ruoli più importanti all’interno del mugyo: fare da tramite tra il mondo umano e il regno spirituale. [10]
Una mudang esperta, infatti, è in grado di svolgere varie pratiche rituali mirate a comunicare con gli spiriti, guarire malattie e affrontare questioni spirituali. Questi particolari rituali vengono chiamati kut, e prevedono danze e canti che permettono alla mudang di creare un ponte tra il mondo tangibile e l’invisibile.[11]
Come detto, il mugyo non è un’esclusiva prerogativa femminile, tuttavia, già dall’epoca Choson (1392-1897) si registrava una maggiore presenza di donne, sia come mudang, sia come clienti.[12] I motivi sono da ricercarsi nella struttura sociale della Corea di quel periodo. Con il confucianesimo come dottrina nazionale, infatti, non solo le donne vennero allontanate dalla vita di corte, ma persero anche qualunque tipo di accesso all’istruzione. Diventare sciamane era quindi spesso l’unico modo per ottenere una forma di istruzione basilare e anche una certa indipendenza senza far affidamento sul matrimonio.[13]
Inoltre, come afferma anche la professoressa di storia del pensiero della Corea moderna e contemporanea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Hyojin Lee, il mugyo all’epoca poteva fungere anche come mezzo per esprimere la propria identità femminile in una società estremamente patriarcale come quella confuciana.
Per quanto le cose siano cambiate al giorno d’oggi, la società coreana rimane ancora profondamente fondata su un sistema patriarcale, dove le donne sono spesso relegate a figure marginali, con lavori part time o attività legate alla cura della casa, degli anziani o dei bambini. Questo potrebbe essere uno dei motivi che spinge le donne a ricercare una qualche forma di escapismo attraverso la religione e la spiritualità.[14]
Indagando i risultati di uno studio condotto per il ventitreesimo volume di Archives of Psychiatric Nursing sulla depressione, si nota come la maggior parte delle persone attive nel contesto religioso siano proprio donne. Come si evince dai risultati di suddetto studio, le donne utilizzano la partecipazione alle attività religiose per ricoprire un posto nella società e ritrovare un senso alla loro vita.[15]
(Fonte: You Kwang Soo, et al., “Spirituality, depression…”, cit., p. 315.)
Lo studio non prende in considerazione lo sciamanesimo, ma attraverso gli studi di altri ricercatori sullo sciamanesimo come Laurel Kendall e Merose Hwang, possiamo includere anche il mugyo come pratica spirituale utilizzata dalle donne coreane per ottenere una forma di emancipazione dalla società.[16]
Un esempio di ciò si può ritrovare proprio nel ruolo che lo sciamanesimo coreano ha avuto nel secondo dopoguerra in merito alla questione delle comfort women.
La questione delle comfort women coreane
Con il termine “comfort women”, o “donne di conforto”, si intendono tutte quelle donne e ragazze provenienti principalmente dai territori occupati dalle forze militari dell’Impero giapponese, che furono vittime dello sfruttamento sessuale organizzato proprio dal governo nipponico prima e durante la Seconda Guerra Mondiale.[17]
Il reclutamento, iniziato già in Giappone nei primi anni ’30 del Novecento, raggiunse il suo picco tra il 1939 e il 1943. La maggior parte delle donne reclutate venivano circuite dagli agenti locali del governo giapponese che offrivano la promessa di un lavoro con remunerazione sicura, mentre altre hanno dichiarato di essere state vendute dalle proprie famiglie per saldare dei debiti con le autorità, o direttamente rapite.[18]
Le donne venivano distribuite nei vari campi militari vivendo in condizioni di estrema povertà e scarsa igiene, costrette a prostituirsi per i soldati giapponesi.[19]
Durante la guerra, la propaganda giapponese mascherò la questione facendo passare le donne come infermiere o inservienti che alleviavano le fatiche degli uomini al fronte. La verità iniziò a circolare solo alla fine del 1944, principalmente attraverso fotografie scattate da soldati statunitensi utilizzate poi come propaganda antigiapponese.[20] Tuttavia, alla fine del conflitto, la questione passò quasi inosservata, molte foto non vennero nemmeno rese pubbliche e quelle che già circolavano non mossero l’opinione pubblica, mentre il Giappone non riconobbe i propri crimini, rimanendo quindi impunito.[21]
La questione cambiò negli ultimi anni del Novecento quando, su insistenza del governo coreano, da cui provenivano la maggior parte delle comfort women, il Giappone riconobbe tutti i suoi crimini, procedendo a delle scuse pubbliche e a varie donazioni monetarie per le donne e le famiglie di tutti i paesi che erano stati sotto il suo dominio durante la Seconda Guerra Mondiale.[22]
Se quindi per il Giappone la questione è legalmente conclusa, per molti paesi, in primis la Repubblica di Corea, il crimine legato alle comfort women non è ancora stato ricompensato a dovere.[23]
Il mugyo come forma di resilienza
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e la conseguente guerra di Corea (1950-53) la Corea del Sud si era ritrovata in una condizione di estrema povertà, le ferite causate dai lunghi anni del colonialismo erano ancora aperte. Naturalmente, tutte le religioni, chiesa cristiana e protestante e buddhismo in primis, hanno svolto un ruolo fondamentale per il supporto fisico e psicologico che le due guerre avevano causato ai cittadini coreani, specialmente alle sopravvissute comfort women, aiutandole soprattutto a trovare la forza di denunciare le atrocità che avevano vissuto.[24]
Anche lo sciamanesimo ha ricoperto un ruolo simile, soprattutto nelle regioni più periferiche della Corea del Sud; tuttavia, a differenza delle altre religioni, il mugyo non si è limitato a ricoprire un ruolo di supporto, ma è diventato un vero e proprio mezzo con cui molte donne non solo hanno raccontato le atrocità vissute, ma ne hanno fatto la propria espressione, la propria voce, la propria libertà.[25]
Come detto, il mugyo moderno è una vera e propria arte dove i rituali stessi includono performance artistiche. Vi sono quindi numerosi casi in cui, specialmente nelle zone più periferiche della Corea del Sud, le sopravvissute comfort women si siano avvalse di kut volti alla guarigione, sia per ottenere una forma di supporto spirituale, sia per esprimere le proprie sofferenze in modo liberatorio.[26]
Nonostante non ci siano sufficienti studi sul ruolo del mugyo nella seconda metà del Novecento, si può risalire a questo suo doppio ruolo tramite i molti libri, spesso autobiografici, scritti sia dalle comfort women, sia da zainichi, cittadini, in questo caso donne, costretti a emigrare in Giappone durante gli anni del colonialismo e rimasti poi nel paese del Sol Levante.[27]
L’utilizzo di questo “trope sciamanico”, nelle opere di scrittrici coreane o zainichi riveste un ruolo significativo nella costruzione narrativa e nell’esplorazione delle identità diasporiche. Attraverso il simbolismo e la pratica sciamanica, queste autrici creano un ponte tra il mondo materiale e quello spirituale, esplorando le complesse connessioni con le loro radici culturali e storiche. Il trope sciamanico diventa un mezzo attraverso il quale esprimere la complessità delle esperienze individuali e collettive legate alla diaspora coreana, alla vita come zainichi o ai ricordi delle comfort women.[28]
Nelle opere letterarie, le scrittrici spesso incorporano rituali sciamanici come metafora per esplorare la comunicazione tra il passato e il presente, il sé e l’altro, il reale e il simbolico. La pratica sciamanica, con la sua dimensione rituale e la capacità di fungere da ponte tra mondi diversi, offre un terreno fertile per affrontare questioni di identità, appartenenza e memoria.[29]
Attraverso il trope sciamanico, le autrici possono anche sottolineare il ruolo delle donne come mediatrici tra il divino e l’umano, evidenziando le loro voci spesso marginalizzate nella storia ufficiale. Inoltre, questa esplorazione della spiritualità e della connessione con le antenate femminili permette di affrontare temi legati alla resistenza e alla resilienza, alla sopravvivenza e alla costruzione di un’identità che va oltre i confini imposti dalla società e dalla storia coloniale.[30]
Conclusioni
La spiritualità coreana, riflettendo la diversità di tradizioni come il mugyo, il buddhismo e il neoconfucianesimo, ha plasmato e modificato la società attraverso i secoli.
Il ruolo delle donne, incarnato nelle figure delle mudang, ha svolto un ruolo cruciale nella comunicazione tra il mondo terreno e quello spirituale. Queste figure, spesso marginalizzate nella storia ufficiale, hanno trovato nel mugyo una via di espressione e resistenza. L’accesso limitato delle donne all’istruzione e le restrizioni sociali imposte dal patriarcato confuciano hanno spinto molte donne a cercare emancipazione e un senso di identità attraverso lo sciamanesimo.[31]
La questione delle comfort women coreane evidenzia il ruolo dell’oppressione e della violenza sulle donne durante i periodi di conflitto. Le pratiche sciamaniche sono emerse come un mezzo attraverso il quale le sopravvissute hanno potuto narrare le loro atrocità e trovare una forma di libertà espressiva.
Infine, il trope sciamanico, nelle opere di scrittrici coreane o zainichi, si presenta come un ricco terreno narrativo per esplorare la complessità delle identità diasporiche. Attraverso il simbolismo e le pratiche sciamaniche, queste autrici hanno costruito ponti tra mondi materiali e spirituali, esaminando le connessioni con le loro radici culturali e storiche. Questo trope offre uno spazio simbolico per affrontare questioni di identità, appartenenza e memoria, ponendo enfasi sulle voci femminili spesso trascurate nella storia ufficiale.[32]
Il mugyo emerge quindi come elemento chiave nella narrativa delle donne coreane, offrendo vie di espressione, resistenza e connessione con le proprie radici.[33]
Bibliografia
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Note
[1] you Kwang Soo, et al., “Spirituality, depression, living alone, and perceived health among Korean older adults in the community”, Archives of Psychiatric Nursing, n. 23.4, 2009, p. 311.
[2] In risposta all’arrivo del cristianesimo, e successivamente del protestantesimo, alla decadenza del neoconfucianesimo e alla relegazione del buddhismo nei templi, si iniziarono a formare in tutta la penisola “nuove religioni”. Una di queste, figlia di sentimenti patriottici e legati alla libertà individuale nati nei primi anni del Novecento in risposta al colonialismo della Corea da parte dell’Impero giapponese, fu proprio il ceondoismo (baker Don, “A slippery, changing concept: how Korean new religions define religion”, Journal of Korean religions, vol.1, n. 1-2, 2010, pp. 69-70).
[3] eliade Mircea, “Shamanism: Archaic Techniques of Ecstacy”, New York, Bollingen Foundation, 1964, p. 462.
[4] baker Don, “Korean spirituality”, Honolulu, University of Hawaii Press, 2008, pp. 18-19.
[5] park Albert L., “Religion 1876-1910”, in Michael J. Seth (a cura di), The Routledge Handbook of Modern Korean History, New York, Routledge, 2014, pp. 64-65.
[6] Questo perché agli inizi il confucianesimo arrivò principalmente attraverso scritti cinesi che potevano essere compresi solo da una ristretta cerchia di intellettuali (park, “Religion…”, cit., pp. 64-65).
[7] Dopo cinque secoli di stallo culturale e intellettuale, iniziarono a emergere problemi politici, economici e sociali che portarono a una veloce decaduta del neoconfucianesimo come religione (park, “Religion…”, cit., p. 65).
[8] park, “Religion…”, cit., pp. 65-66.
[9] Durante il periodo Joseon (1392-1897) il mugyo era diventato una religione quasi esclusivamente femminile. Questo perché le donne erano state escluse dalla vita religiosa di corte, vedendo nel mugyo l’unico modo per emanciparsi dalla propria posizione all’interno della società neoconfuciana (park, “Religion…”, cit., pp. 66-67).
[10] oh Kyong-geun, “Korean Shamanism–The Religion Of Women”, International Journal of Korean Humanities and Social Sciences, n. 2, 2016, p. 75.
[11] oh Kyong-geun, “Korean Shamanism…”, cit., p. 76.
[12] lee Jonghyun, “Shamanism and its emancipatory power for Korean women”, Affilia n. 24.2, 2009, pp. 188-189.
[13] lee Jonghyun, “Shamanism and its emancipatory power…”, cit., pp. 189-190.
[14] you Kwang Soo, et al., “Spirituality, depression…”, cit., p. 311.
[15] you Kwang Soo, et al., “Spirituality, depression…”, cit., p. 315.
[16] hwang Merose, “Kut as Political Disobedience, Healing, and Resilience”, New Ways of Solidarity with Korean Comfort Women: Comfort Women and What Remains, Singapore: Springer Nature Singapore, 2023, p. 181.
[17] odetti Maria Amelia, “Comfort Women: Storia e propaganda nella documentazione fotografica”, Deportate, esuli, profughe, n. 5-6, Università Ca’Foscari, Venezia, 2006, p. 368.
[18] odetti Maria Amelia, “Comfort Women…”, cit., pp. 369-370.
[19] odetti Maria Amelia, “Comfort Women…”, cit., p.372.
[20] odetti Maria Amelia, “Comfort Women…”, cit., pp. 374-379.
[21] yook Sung Hee, “Mourning Unmourned Deaths: Shamanic Rituals in Nora Okja Keller’s Comfort Woman”, Feminist Studies in English Literature, n. 19.3, 2011, p. 127.
[22] yook Sung Hee, “Mourning Unmourned Deaths…”, cit., pp. 127-128.
[23] yook Sung Hee, “Mourning Unmourned Deaths…”, cit., p. 128.
[24] lee Jonghyun, “Shamanism and its emancipatory power…”, cit., p. 186.
[25] lee Soo Mi, “Performing Postcolonial Feminine Identity as Shaman: Building Narrative Bridges Between Two Worlds”, Diss. UC Berkeley, 2015, pp. 61-62.
[26] hwang Merose, “Kut as Political Disobedience…”, cit., pp. 183-184.
[27] lee Soo Mi, “Performing Postcolonial Feminine…”, cit., p. 1.
[28] gilbert Paula Ruth, “The Violated Female Body as Nation: Cultural, Familial, and Spiritual Identity in Nora Okja Keller’s Comfort Woman”, Journal of Human Rights, n. 11.4, 2012, pp. 487-488.
[29] Per esempio in Comfort Woman di Nora Okja Keller, o in relazione alla questione zainichi, il film Spirits’ Homecoming di Cho Jung Rae del 2016 e il documentario Manshin: Ten Thousand Spirits di Park Chan Kyong del 2013 (lee Pecic Zoran, “Shamans and nativism: postcolonial trauma in Spirits’ Homecoming (2016) and Manshin: Ten Thousand Spirits (2013)”, Journal of Japanese and Korean Cinema, n.12.1, 2020, pp. 69-70).
[30] lee Soo Mi, “Performing Postcolonial Feminine…”, cit., pp. 6-7.
[31] lee Jonghyun, “Shamanism and its emancipatory power…”, cit., pp. 195-196.
[32] lee Soo Mi, “Performing Postcolonial Feminine…”, cit., p. 59.
[33] lee Soo Mi, “Performing Postcolonial Feminine…”, cit., p. 60.
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