LA SICUREZZA NEL DIALOGO TRA UNIONE EUROPEA E GIAPPONE: SUCCESSI PASSATI E PROIEZIONI PER IL FUTURO
– Vittorio Bosello –
Le tappe principali: dalla Joint Declaration allo SPA
Il processo per lo sviluppo delle relazioni tra Unione Europea e Giappone fu a lungo caratterizzato da sfiducia reciproca e lentezza, soprattutto nella sua prima fase. Timidi tentativi di dialogo bilaterale con la Germania, il Regno Unito e persino l’Italia non portarono infatti ad alcuna evoluzione significativa nei rapporti per tutta la durata degli anni ‘60 (Mykal, 2011).
La ragione di ciò risiede nelle dispute commerciali sorte in quel periodo; esse furono a tutti gli effetti l’elemento caratterizzante delle relazioni tra Giappone e Paesi della Comunità Europea per quasi tre decenni.
L’apertura di Nixon alla Cina nel 1971 tramite l’operato di Kissinger fu un vero e proprio shock per i governanti giapponesi, preoccupati da un tentativo così unilaterale di normalizzare le relazioni con i cinesi.
Gli eventi dovuti allo ‘shock nixoniano’ furono un campanello d’allarme e spinsero il Giappone sulla strada di una politica estera più autonoma da Washington, rendendo i Paesi europei un interlocutore obbligato (Frattolillo, 2013).
Seguì dunque una visita del primo ministro giapponese Tanaka a Bruxelles nel 1973, durante la quale lo statista si incontrò con i leader di diversi paesi dell’Europa Occidentale e che, secondo Mykal (2011), fu il primo effettivo passo verso la discussione di interessi comuni.
Anche nella prima metà degli anni ‘80 il crescente disavanzo commerciale della Comunità a vantaggio del Giappone continuò ad ostacolare un approfondimento della relazioni che andasse oltre la politica commerciale, tanto che alcuni episodi del periodo fecero scuola di economia internazionale: la Francia impose nel 1982 il passaggio di videoregistratori a nastro giapponesi dalla piccola dogana di Poitiers al fine di ostacolarne l’importazione (Keck et al., 2015).
L’occasione per una svolta nelle relazioni euro-giapponesi si ebbe con il crollo dell’URSS e la fine della Guerra fredda. Contestualmente a questi eventi, lo scoppio della Prima guerra del Golfo diede al Giappone un’opportunità per rivedere la propria postura strategica; una legge approvata nel 1992 rese possibile alle Forze di autodifesa del Giappone la partecipazione alle operazioni di peace-keeping all’estero dirette dalle Nazioni Unite (Mykal, 2011).
Il cambiamento del panorama geopolitico aprì anche uno spazio per ripensare le difficili relazioni con i Paesi europei.
Grazie al suo impegno nella ricostruzione dei paesi dell’Est-Europa, sorti dalla dissoluzione del blocco sovietico, attraverso fondi allo sviluppo coordinati con l’OCSE (i cosiddetti ODA) il Giappone gettò le basi necessarie per l’approfondimento dei legami con i partner europei. Da qui, la prima tappa verso la creazione di politiche comuni fu cristallizzata dalla ‘Joint Declaration on relations between Japan and the European Community’ del 1991. Al di là dei temi economici, nel breve documento comparve per la prima volta l’impegno a cooperare anche su questioni legate alla sicurezza internazionale (Frattolillo, 2013). Un report della Commissione Europea del 1995 sottolineò l’importanza di questo aspetto, indicando la cooperazione in materia di sicurezza come strumento utile ad una maggiore presenza internazionale del Giappone.
La seconda tappa fondamentale fu il ‘Joint Action Plan for EU-Japan Cooperation’ siglato al summit Japan-EU del 2001, in cui la Commissione Europea trovò il suo rappresentante in Romano Prodi (Mykal, 2011) e grazie al quale furono individuate più di cento aree per la cooperazione bilaterale.
In particolare, al punto ‘Peace and Security’ del documento compaiono alcuni obiettivi degni di nota, come il continuo impegno per l’eliminazione delle armi di distruzione di massa, la promozione del dialogo regionale, il rispetto dei diritti umani e il rafforzamento delle Nazioni Unite. In più, si fa menzione di nuove sfide di portata mondiale, come il terrorismo, da affrontare concertando gli sforzi (Gilson, 2016).
Negli anni ‘2000 l’evoluzione della cooperazione tra Unione Europea e Giappone ha seguito le linee tracciate dalla Joint Declaration e dall’Action Plan, prima di giungere alla sua più recente conquista, la firma dello Strategic Partnership Agreement nel 2018 (Kirchner & Dorussen, 2020).
Convergenza di intenti
Non sono mancati, anche agli albori del dialogo securitario, esempi di collaborazione tra Paesi europei e Giappone generalmente considerati dei successi.
Al termine del sanguinoso conflitto cambogiano, il Giappone partecipò alla missione di peacekeeping UNTAC sotto l’egida dell’ONU inviando per la prima volta dal dopoguerra le proprie truppe all’estero (Reid, 1992). Un paese in cui il Giappone riuscì ad offrire un contributo globale anziché esclusivamente militare (Matsumoto, 2010), la Cambogia permise a truppe di peacekeeping europee e giapponesi di cooperare nel corso della missione e fu anche teatro di una collaborazione nell’ambito del controllo della circolazione di armi e della rimozione di mine anti-uomo (Mykal, 2011).
Come accennato, il Giappone mostrò interesse anche per la regione balcanica nel corso degli anni ‘90. Qui il Sol Levante si collocò tra i donatori più generosi e diede un particolare aiuto finanziario alla Bosnia-Herzegovina (Frattolillo, 2013), provata dal recente conflitto. Pur non supportando l’intervento NATO in Kosovo, il Giappone si dimostrò un partner essenziale dal punto di vista umanitario grazie a ingenti donazioni per la ricostruzione e lo state-building del paese, oltre che un alleato affidabile dell’Unione Europea nella coordinazione degli aiuti che avvenne attraverso lo ‘Stability Pact for Southern Europe’, creato nel 1999 dal Consiglio Europeo di comune accordo con il Giappone (Mykal, 2011). Più in generale, il supporto ai paesi GUAM (Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia), è motivato dall’affinità normativa sentita dal Giappone sul piano del rispetto dei valori democratici, ma svolge anche la funzione strategica di rispondere al pericoloso precedente che l’annessione russa della Crimea ha creato, e che la Cina potrebbe riprodurre in contesti geograficamente più vicini (Kitade, 2020).
Da parte sua l’Unione Europea si unì nel 1995 alla Korean Peninsula Energy Development Organization (KEDO), un’organizzazione volta a vigilare sul programma nucleare della Corea del Nord, tema di spicco tra le priorità strategiche del Giappone (Keck et al., 2015).
Tra i più recenti esempi di collaborazione attiva tra Giappone e Unione Europea nell’ambito della sicurezza globale c’è lo sforzo congiunto nelle acque del Corno d’Africa per contrastare la pirateria.
Proprio in questa regione, più precisamente nel Djibouti, il Giappone ha stabilito nel 2011 la sua prima e unica base militare estera. La missione della base, inizialmente concepita per ospitare aeromobili da ricognizione e vascelli atti al controllo della pirateria, è stata ampliata nel tempo fino a prevedere un più generale sforzo giapponese nel Corno d’Africa (Melvin, 2019), anche a fronte della crescente influenza cinese nell’area.
Unione Europea e Giappone hanno evidenti interessi comuni nella regione (Kirchner & Dorussen, 2020), tanto che nel 2021 le forze navali appartenenti alla missione EU NAVFOR Somalia, anche nota come Operazione Atalanta, si sono cimentate con la Forza Marittima d’Autodifesa Giapponese in un’esercitazione congiunta (Gaens, 2023).
Cooperazione bilaterale: Germania, Italia e Francia
L’Unione Europea oggi è, ben più che in passato, un interlocutore dalla crescente importanza strategica per il Giappone, seppur non ancora comparabile con gli Stati Uniti o alcuni paesi dell’Indo-Pacifico. Tuttavia, la cooperazione bilaterale con specifici Stati membri risulta ancora essere una prassi preferita, se non obbligata, per la costruzione di un dialogo che abbia risultati concreti.
Nel caso della Germania, ad oggi non è ancora emerso un chiaro interesse condiviso tra i due paesi, ma il suo ruolo di membro leader all’interno dell’Unione Europea la rende comunque un partner fondamentale per il Giappone in vista di un maggiore coinvolgimento europeo nell’Indo-Pacifico (Hornung, 2020).
Un’altra partnership ancora al suo primo stadio ma che avrà sicuramente notevoli sviluppi nel prossimo futuro è quella con l’Italia.
Nel corso di una visita a Tokyo a marzo 2023, il ministro della difesa Guido Crosetto ha sottolineato l’intento italiano di potenziare la collaborazione sul tema della sicurezza con il Giappone in più settori (Dominguez, 2023). L’Italia sta inoltre lavorando con Giappone e Regno Unito per rinnovare la propria aeronautica militare attraverso il Global Compact Air Programme annunciato nel 2022 (Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2022), un programma per produrre un caccia stealth di nuova generazione entro il 2035 (Cogan, 2023).
Durante l’incontro avvenuto il 10 gennaio 2023 a Palazzo Chigi tra Meloni e Kishida, la premier italiana ha annunciato la volontà reciproca di “elevare le nostre relazioni a rango di partenariato strategico” (Palazzo Chigi, 2023).
Infine la Francia, che con il Sol Levante è già impegnata nella ricerca militare (Kirchner & Dorussen, 2020), rimane uno dei partner storicamente più vicini al Giappone, assieme a Germania e Regno Unito (Keck et al., 2015). I due Paesi hanno accettato di confrontarsi sul tema della sicurezza sia per le situazioni in Africa e Medio Oriente sia per il pericolo nucleare rappresentato dalla Corea del Nord.
Sin dalla visita del presidente Hollande nel 2013, in occasione della quale le relazioni tra i due furono portate al livello di “partnership eccezionale” (Kirchner & Dorussen, 2020), la collaborazione strategica tra i due attori ha prodotto diversi risultati. Il primo dialogo interministeriale con il Giappone secondo la formula ‘2+2’, dove i numeri indicano i rispettivi ministri della difesa e degli esteri degli Stati coinvolti, è un primato in Europa che spetta alla Francia (Tsuruoka, 2015, p. 46).
Inoltre, Francia e Giappone possono vantare una storia di scambi, cooperazione nella difesa e cooperazione industrial-militare che risale agli anni ‘60 (Hornung, 2020).
Lo Strategic Partnership Agreement
Sulla base gettata dall’Action Plan del 2001, l’intenzione di costruire una partnership comprensiva tra Unione Europea e Giappone non è sicuramente mancata, ma le sfide rappresentate dal cambiamento climatico, dalla questione energetica e dai nuovi equilibri geopolitici nei più di dieci anni seguenti al piano hanno mostrato che ci fosse margine di miglioramento (Hatwell, 2007).
In questo senso, il 2018 fu un anno particolarmente fruttuoso, con la firma dell’Economic Partnership Agreement (EPA) e dello Strategic Partnership Agreement (SPA), l’ultima grande tappa raggiunta dal dialogo tra UE e Giappone.
Lo SPA raccoglie una lista di priorità su cui i due partner intendono lavorare negli anni a seguire: si parla di energia, infrastrutture, connettività, sicurezza, crimine organizzato, terrorismo, non-proliferazione nucleare…
Nell’ambito della sicurezza, le misure di pattugliamento e anti-pirateria nelle acque del Corno d’Africa restano un elemento cardine su cui orientare gli sforzi reciproci (Berkofsky et al., 2020).
Nella letteratura competente, alcuni hanno espresso dubbi sulle potenzialità effettive dello SPA durante i negoziati che hanno preceduto la sua firma. Secondo alcuni, il mero rinnovo formale delle premesse contenute nella Joint Declaration o nell’Action Plan non è più sufficiente, soprattutto a fronte dei grandi cambiamenti economici e politici che hanno interessato tanto l’UE quanto il Giappone in questi decenni; è infatti necessario, ai fini di una collaborazione meno retorica e più concreta, un ripensamento globale degli obiettivi comuni ai due attori sulla base dell’attuale panorama geopolitico (Gilson, 2016).
D’altra parte, c’è anche chi evidenzia le potenzialità dello SPA per la cooperazione tra UE e Giappone nei nuovi domini della sicurezza internazionale e ne pregia la qualità di ‘trampolino di lancio’ per ulteriori progressi nelle aree ancora a un basso livello di collaborazione (Kirchner & Dorussen, 2020).
In conclusione, al netto di un numero relativamente esiguo di traguardi raggiunti negli scorsi decenni, lo SPA rimane una conquista per il dialogo sicuritario a cui i paesi dell’UE e il Giappone potranno fare riferimento nel corso dei prossimi anni per un percorso comune verso un mondo più sicuro.
Bibliografia
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