ijime-bullismo-scuole-giappone

Ijime: storia ed evoluzione degli studi sul fenomeno del bullismo nelle scuole giapponesi

Arianna Bianchin & Fiorella Monzòn

Il fenomeno del bullismo nelle scuole giapponesi – o Ijime in giapponese, termine che si riferisce ad atti di manipolazione sociale e di bullismo di gruppo nei confronti di coetanei più deboli –  ha ricevuto una sempre maggior attenzione pubblica a partire dagli anni Ottanta, in particolare in seguito ai nove casi di suicidio dovuti al bullismo di gruppo che si verificarono in Giappone nel 1986. Tra questi, quello che colpì maggiormente l’opinione pubblica fu il caso di Hirohumi Shikagawa, studente delle scuole medie, che fu ritrovato impiccato nel bagno di un centro commerciale con accanto un biglietto d’addio che recitava: ‘La mia vita è un inferno’. Il ragazzo era vittima di continue vessazioni fisiche e psicologiche a scuola; circa tre mesi prima della sua morte, i compagni di classe erano arrivati addirittura ad inscenare il suo suicidio e la cosa ancora più grave è che, a questa messa in scena, avevano partecipato anche alcuni insegnanti che avevano addirittura lasciato note commemorative in suo ricordo. A seguito di questi episodi, sono stati, quindi, scritti e pubblicati numerosi studi sul tema, arrivando a delineare i tratti distintivi del fenomeno dal punto di vista psicologico e sociale, ed evidenziando collegamenti con la natura collettivistica della società giapponese stessa, così come con il funzionamento del proprio sistema d’istruzione e i metodi educativi caratteristici.

Secondo il Kojien, uno dei dizionari di lingua giapponese più rinomati, il verbo ijimeru significa “trattare una persona debole aspramente”, mentre altri dizionari lo definiscono come “essere crudeli, prendere in giro, infastidire, bullizzare”. Il prototipo dell’Ijime comprende, dunque, il bullismo come mezzo per ottenere un vantaggio sugli altri, i quali sono stigmatizzati in termini di caratteristiche fisiche, background sociale, o per via di una personalità mite, e così via. Il bullismo giapponese si caratterizza poi per forme di aggressione indirette, come per esempio strategie che hanno l’obiettivo di isolare la persona dal punto di vista sociale, diffondere pettegolezzi e calunnie sulla vittima, parlare alle sue spalle, coalizzandosi contro quest’ultima, e altre tattiche di manipolazione e di intimidazione sociale di questo tipo. Con l’aumento considerevole dei casi denunciati dagli anni Ottanta, il termine Ijime è stato però associato prevalentemente all’ambito scolastico come etichetta per definire questo nuovo tipo di violenza nelle scuole. È stato così stabilito che l’Ijime, nella maggior parte dei casi, si delinea come una forma di intimidazione psicologica o di terrore messa in atto da parte dei compagni di classe e coetanei nei confronti di vittime mentalmente più deboli, o semplicemente differenti dal resto del gruppo. Data la natura collettivistica della società giapponese, i bulli, che si muovono sempre in gruppo, tendono a prendere di mira tutti coloro che deviano dalla norma e dagli standard socialmente condivisi, quali, ad esempio, i bambini particolarmente dotati a scuola, o portatori di handicap o, ancora, di origine straniera. Alcuni elementi tipici dell’Ijime, che potrebbe essere ormai considerato quasi parte della cultura scolastica, sono insulti e offese, prese in giro costanti, ostracismo e isolamento delle vittime, ossia atti che mirano ad umiliare chi ne è soggetto e che vengono perpetrati grazie allo squilibrio di potere a favore dei bulli. Le conseguenze di questi abusi hanno provocato non solo casi di suicidio nel corso degli anni, ma anche ferite fisiche e psicologiche con effetti a lungo termine per le vittime. Molte delle vittime di bullismo in Giappone finiscono, infatti, per abbandonare la scuola, smettono di condurre vita sociale, soffrono di sindrome da stress post traumatico e, nei casi più estremi, arrivano a togliersi la vita.

L’Ijime è stato spesso collegato alla struttura stessa del sistema scolastico in Giappone, il quale è strettamente gerarchico e centralizzato. In generale, il sistema scolastico giapponese è sempre riuscito a mantenere degli standard accademici esigenti, e studenti e famiglie sono consapevoli che, nel sistema meritocratico giapponese, il fallimento a livello scolastico tende a distruggere qualsiasi prospettiva di successo economico in futuro. La scuola è quindi spesso vissuta come un luogo in cui dover sempre essere performanti perché sottoposti a continuo giudizio ed è anche per questo motivo che gli studenti vittime di bullismo non si sentono a proprio agio nel mostrare le loro debolezze e chiedere aiuto. L’atteggiamento stesso degli insegnanti non aiuta perché questi continuano spesso ad adottare comportamenti paternalistici e per questo sono percepiti dai ragazzi come delle autorità da rispettare piuttosto che figure di riferimento a cui potersi rivolgere in caso di bisogno. I ragazzi coinvolti si sentono spesso abbandonati dagli insegnanti e dalle autorità scolastiche, che in molti casi consigliano alle vittime di sopportare gli abusi e cercano di nascondere le situazioni problematiche per proteggere la reputazione del proprio istituto agli occhi del pubblico, contribuendo così a colpevolizzare la vittima e a diffondere l’ideologia malsana secondo cui è una vergogna essere vittima di bullismo e per questo coloro che lo subiscono dovrebbero evitare di farlo sapere. In alcuni casi, gli insegnanti semplicemente rimangono ignari del bullismo in atto nelle proprie classi perché si trovano spesso a gestire gruppi di oltre 40 studenti e sono sempre impegnati in attività extra oltre l’orario scolastico; si crede, inoltre, che gli insegnanti siano restii a riportare i casi di cui sono a conoscenza perché questo dimostrerebbe la loro incapacità nel gestire la classe e potrebbe pertanto minare le loro chance di promozione.

Le scuole giapponesi pongono l’accento, in particolare, sulle attività di gruppo e la divisione dei compiti tra gli studenti della classe (come la pulizia delle aule, ad esempio), e si caratterizzano per la quantità di regole che gli alunni devono rispettare (tra cui l’uniforme, la pettinatura, luoghi in città che possono frequentare), rendendo evidente che lo scopo reale della scuola non è l’autorealizzazione del singolo individuo, bensì quello di imparare a vivere con successo in una società esigente con dinamiche di gruppo complesse. Come già accennato, i metodi educativi su cui si basa il sistema dell’istruzione giapponese stesso tendono a creare un terreno fertile per situazioni di bullismo tra pari. L’istruzione in Giappone ha, infatti, come obiettivo fondamentale quello di insegnare ai ragazzi a conformarsi al gruppo, proprio per via del concetto di omogeneità culturale che permea la società giapponese, e gli studenti stessi si ritrovano per questo a competere tra di loro per dimostrare la propria capacità di uniformarsi al gruppo. Questo spiega, dunque, il proliferare dei casi di Ijime in un contesto sociale che predilige gli interessi del gruppo rispetto a quelli dell’individuo. L’Ijime è, inoltre, presente in tutti i cicli di istruzione, ma è più frequente nella scuola primaria, raggiungendo il picco nella scuola secondaria di primo grado, e diventa manifestazione della propensione del sistema scolastico giapponese a preservare l’omogeneità del gruppo tramite l’esclusione di chi è diverso. In particolare, l’Ijime ha luogo quando tre o più persone interagiscono e può coinvolgere anche la maggior parte della classe. Generalmente, il fenomeno prevede quattro gruppi: il bullo (ijimekko), la vittima (ijimerarekko), il pubblico (kanshuu) che incoraggia o partecipa alle azioni di Ijime, e gli spettatori (boukansha) che guardano in silenzio o fingono di non vedere. La presenza dei quattro gruppi è indice di come l’Ijime possa diventare un’attività che coinvolge tutta la classe nella forma di “tutti contro uno”, dove l’intera classe vittimizza un singolo studente.

Il fatto che gli studenti vengano collocati sistematicamente in ruoli ben definiti e istruiti a rispettare la propria funzione in preparazione alla vita adulta, rispecchia l’importanza che la società giapponese riconosce al concetto di uniformità, necessario per garantire l’uguaglianza sociale e fornire le competenze necessarie per apportare benefici alla collettività, e questo spiega, allo stesso tempo, il motivo per cui l’istruzione giapponese è considerata innanzitutto come strumento utile a fornire le regole e la disciplina in grado di formare i bambini e permettere la loro integrazione nella società. Negli ambienti scolastici emergono spesso dinamiche di controllo inter pares e pressione reciproca nelle relazioni sociali tra gli alunni, dove l’Ijime diventa una manifestazione dell’eccessivo zelo messo in atto per raggiungere l’uniformità e che prevede necessariamente l’eliminazione degli elementi che si distaccano, evidenziando il lato oscuro delle meccaniche del gruppo nella socializzazione tra pari. Sono, inoltre, gli educatori stessi che pongono enfasi sull’importanza della conformità al gruppo per evitare l’alienazione che deriva dal mancato rispetto delle regole del gruppo, e queste dinamiche vengono insegnate ai bambini fin dall’asilo nido, visto come tappa importante nel percorso di educazione e frequentato da quasi tutti i bambini. Per gli insegnanti ed i genitori giapponesi, l’esperienza dell’asilo nido deve insegnare ai piccoli le abitudini e gli atteggiamenti accettabili per la vita di gruppo (shudan seikatsu) e identificare così i comportamenti standard da tenere in classe.

Di conseguenza, i bambini giapponesi imparano in fretta le regole non scritte del gruppo e che non è possibile opporsi alla peer pressure che sperimentano, mentre nei gradi scolastici successivi imparano anche a diventare maggiormente responsabili per i comportamenti mostrati dal proprio gruppo. Nel proprio percorso scolastico, infatti, gli studenti assumono anche il compito di mantenere l’ordine e l’omogeneità all’interno del proprio gruppo, facendo molto affidamento sul ruolo giocato dalla peer pressure per la gestione della classe ed il raggiungimento degli obiettivi. Tuttavia, il lato negativo di questo metodo emerge quando gli studenti assumono atteggiamenti negativi nei confronti di chi non partecipa o non è collaborativo, fino ad estremizzarsi ed arrivare ad atti di Ijime per eliminare o vittimizzare gli individui che si sono discostati dal gruppo. Per questo motivo, tra gli studenti è comune anche il kukiyomi, ossia “leggere l’atmosfera”, come metodo per comprendere ciò che è accettabile o meno all’interno del gruppo. Tuttavia, anche se può essere utile sviluppare “un’intelligenza sociale” che permetta di percepire la situazione che vige in un contesto specifico, l’idea che la non-omogeneità sia considerata problematica non si sposa con il principio di una società in cui la diversità e la tolleranza vengono coltivati e ricercati.

Nel 2011, il bullismo è tornato nuovamente a fare scalpore nel Paese a seguito del suicidio di un tredicenne nella cittadina di Otsu. Il ragazzo era stato vittima di continue e ripetute vessazioni a scuola e alcuni compagni lo avevano addirittura costretto ad inscenare il suo suicidio durante una pausa pranzo. Alla luce di questo evento, il Consiglio scolastico della città si era precipitato a dichiarare che la scuola non era a conoscenza degli atti di bullismo subiti dal ragazzo; dichiarazioni che poi si scoprirono non corrispondenti alla verità. Gli insegnanti sapevano ciò che stava accadendo ma non avevano preso alcuna contromisura per fermare tutto ciò. Il caso fece molto clamore a livello mediatico e l’opinione pubblica si scagliò violentemente contro la scuola. Si tratta poi della prima volta in cui, a seguito della causa civile intentata dai genitori della vittima, un tribunale ha riconosciuto a livello ufficiale il nesso causale tra il suicidio del ragazzo e gli atti di bullismo a cui era stato sottoposto, nesso che non era mai stato riconosciuto fin a quel momento nei processi degli anni Ottanta e Novanta seguiti alle denunce di altri genitori di ragazzi morti suicidi perché vittime di vessazioni a scuola. Il clamore nato attorno a questo caso portò all’approvazione due anni dopo della Legge per la promozione di misure per prevenire il bullismo, primo atto legislativo nel Paese specificatamente diretto a contrastare il bullismo nelle scuole.

Prendendo in considerazione la situazione attuale nelle scuole, nel 2019, secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, è stato registrato il numero record di 612.000 casi di bullismo tra scuole elementari, medie e superiori, il triplo rispetto a dieci anni fa; l’80% delle scuole nel Paese ha riportato casi di bullismo. A questi numeri, si aggiungono i 479 casi di suicidio tra studenti, sei dei quali dichiaratamente legati a casi di ijime.
La pandemia di coronavirus, inoltre, ha avuto forti ripercussioni sulla vita degli studenti e sulle interazioni sociali tra di loro. Le strutture scolastiche hanno, infatti, imposto restrizioni ben precise nell’intento di limitare la diffusione del virus, ma secondo studi recenti tutto ciò ha contribuito ad aumentare la pressione sui giovani, come indicato dall’aumento delle visite in infermerie e delle assenze a lezione. Le scuole hanno riscontrato sempre più difficoltà nel trovare risposte rapide ed efficaci ad eventuali problematiche in famiglia e al deterioramento del benessere psico-fisico degli studenti, portando in alcuni casi addirittura al rifiuto di frequentare la scuola, come testimoniano degli insegnanti. Del resto, la mancanza di gite ed altri eventi scolastici ha privato i ragazzi di diverse occasioni di socializzazione che avrebbero potuto migliorarne lo stato psicologico e relazioni interpersonali. Un sondaggio del National Center for Child Health and Development, in particolare, ha raccolto dati da febbraio a marzo 2021, intervistando 501 studenti delle scuole elementari, medie e superiori riguardo allo stress emotivo e mentale provocato dalla pandemia. Il 20% degli studenti ha riportato episodi di autolesionismo o di aggressione verso i membri della propria famiglia, mentre il 37% ha affermato di essere “facilmente irritato” e il 32% di “non riuscire a concentrarsi recentemente”. Il 51% degli intervistati ha poi affermato che “è diventato più difficile parlare o consultarsi con gli insegnanti ed altri adulti”.

La situazione venutasi a creare nelle scuole a causa della pandemia ha influenzato anche dei cambiamenti nei casi di bullismo più recenti, con una tendenza sempre più marcata verso il problema del cyberbullismo. I social media diventano, infatti, veicoli di diffusione del bullismo in Giappone perché spesso accade che le violenze fisiche e psicologiche perpetrate a danni delle vittime vengano poi postate su internet e ricondivise dagli utenti. Nell’indagine del 2020 pubblicata dal Ministero dell’Istruzione è emerso come il numero totale di casi di bullismo tra bambini registrati in Giappone fosse calato per la prima volta in sette anni, proprio perché le occasioni di incontro diretto erano limitate, ma ciò ha provocato un’impennata dei casi di bullismo online. I casi denunciati di bullismo nelle scuole elementari, medie e superiori, insieme alle strutture specializzate per i bambini con disabilità, sono, infatti, pari a 517.163, con un calo del 15,6% rispetto all’anno precedente.  Nonostante il calo generale, tuttavia, sono stati denunciati 18.870 episodi di abusi verbali e altri tipi di molestie attraverso PC e smartphone, il numero più alto mai registrato da quando questa categoria di bullismo è stata riconosciuta nello studio ufficiale risalente al 2006. La cifra totale è raddoppiata dal 2015, quando sono stati confermati meno di 9.187 casi di questo tipo, mentre un aumento incisivo è stato registrato già nel 2019, in particolare tra i bambini delle scuole elementari.

A partire dal 2021, è iniziata, inoltre, la distribuzione di tablet PC per tutti gli alunni delle scuole elementari e medie della nazione, agevolando così la comunicazione tra i ragazzi tramite internet, ma facendo emergere allo stesso nuove problematiche legate al bullismo.  Ad esempio, in una scuola elementare di Tokyo si sono verificati casi di studenti che hanno utilizzato la chat della classe per pubblicare parole offensive, e contemporaneamente gli strumenti a disposizione degli insegnanti per limitare queste situazioni non sono sufficienti, in quanto non sono autorizzati a controllare la cronologia dei dispositivi degli alunni. La psicologa Saya Moriyama ha spiegato che gli insegnanti “fanno fatica a rispondere al numero crescente di problemi online che sono difficili da identificare per gli adulti”, e che riceve sempre più frequentemente lamentele di questo tipo da parte dei docenti.

Un caso emblematico di cyberbullismo con tragiche conseguenze è quello di Saaya Hirose, una ragazza di terza media scomparsa dalla sua abitazione ad Asahikawa, in Hokkaido, a febbraio del 2021 e il cui corpo è stato ritrovato in un parco senza segno di possibili crimini. Secondo i risultati dell’autopsia rilasciati dalle forze dell’ordine, la quattordicenne sarebbe deceduta per ipotermia poco dopo la sua scomparsa. Una dichiarazione della madre riguardo ad episodi di bullismo che avrebbero coinvolto la vittima ha spinto il sindaco di Asahikawa, Masahito Nishikawa, a richiedere indagini approfondite alle autorità scolastiche. Il bullismo subito da Saaya avrebbe avuto inizio a partire dalla primavera del 2019, poco dopo il suo arrivo nella scuola media della città ed il caso è emerso in un primo momento quando i suoi compagni di classe l’avevano fotografata senza vestiti e avevano postato le fotografie sui social media, nonostante la ragazza li avesse pregati di smetterla, minacciando di gettarsi in un fiume per uccidersi. In quell’occasione, Saaya era stata salvata, ma, a seguito di un’indagine sull’incidente, le autorità scolastiche e delle città avevano concluso che non sussistesse un problema di bullismo. Saaya ha quindi cambiato scuola, ma è diventata sempre più solitaria e ha sviluppato tendenze suicide come conseguenza dell’esperienza traumatica. A fine aprile del 2021, il Ministro dell’Istruzione Koichi Hagiuda ha, quindi, richiesto un’indagine approfondita sulle cause del decesso, rispondendo anche al desiderio della famiglia della vittima di far emergere la verità per combattere il fenomeno del bullismo.

In generale, sia il governo centrale sia quelli locali stanno cercando di elaborare strategie per individuare i problemi dei bambini legati al bullismo e gestirli con maggiore efficienza. Il Ministero dell’Istruzione, ad esempio, ha introdotto un programma di sussidi per le città affinché vengano aperti dei centri di ascolto e assistenza costante per bambini in difficoltà tramite l’app di messaggistica Line o tramite e-mail in tutto il Paese, prevedendo anche l’aggiunto di un collegamento diretto a tali centri da installare nei dispositivi stessi dei ragazzi. La dimostrazione di una rinnovata attenzione dell’opinione pubblica nei confronti del problema è arrivata recentemente quando il musicista giapponese Cornelius, in arte Keigo Oyamada, ha deciso di rinunciare all’incarico che gli era stato affidato come compositore per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Tokyo 2020 perché erano riemerse alcune sue dichiarazioni degli anni ’90 in cui rivelava di aver bullizzato alcuni compagni di classe affetti da disabilità.

Bibliografia

Mino, Tamaki, “Ijime (Bullying) in Japanese Schools: A Product of Japanese Education Based on Group Conformity”, Rhizomes: Re-Visioning Boundaries, School of Languages and Comparative Cultural Studies, The University of Queensland, 24-25 febbraio 2006. https://espace.library.uq.edu.au/view/UQ:7721

Naito, Takashi, Gielen, Uwe, “Bullying and Ijime in Japanese Schools”, Violence in Schools, giugno 2006.

“Schools across nation fighting rampant surge of online bullying”, The Asahi Shimbun, 9 novembre 2021. https://www.asahi.com/ajw/articles/14467739

“The pandemic is making school life a lot harder for children”, The Asahi Shimbun, 28 giugno 2021. https://www.asahi.com/ajw/articles/14374113

Yamaguchi, Mari, “Girl’s death in Japan prompts probe of alleged bullying”, AP News, 6 maggio 2021.

Yoneyama, Shoko, “The Era of Bullying: Japan under Neoliberalism”, The Asia-Pacific Journal, Vol. 1-3-09, 31 dicembre 2008. https://apjjf.org/-Shoko-YONEYAMA/3001/article.html

Belin, Louis, Murata, Ryusuke, Popuri, Aruna, McCurry Justin, “Japan’s bullying problem: Social media worsens a deeply entrenched issue”, France24,20/01/2022 – https://www.france24.com/en/tv-shows/focus/20220120-japan-s-bullying-problem-social-media-worsens-a-deeply-entrenched-issue

Yamaguchi, Mari, “Girl’s death in Japan prompts probe of alleged bullying”, abcNews, 06/05/2021 – https://abcnews.go.com/International/wireStory/girls-death-japan-prompts-probe-alleged-bullying-77528058

“Olimpiadi, bullismo da bambino: si dimette il musicista dell’inaugurazione”, La Repubblica, 19/07/2021- https://www.repubblica.it/dossier/sport/olimpiadi-tokyo-2020/2021/07/19/news/musicista_olimpiadi_bullismo_tokyo_dimissioni_cerimonia-310901113/

Poole, Ollie, “Ijime, The Disease of the Japanese Classroom”, Japan Zone, 19/01/2021 – https://www.japan-zone.com/features/105_ijime_disease_of_japanese_classroom.shtml

Nagata, Kenji, “Japan’s Act on the Promotion of Measures to Prevent Bullying: Handling Serious Cases of Bullying”, KANSAI UNIV REV. L. & POL., N.42, marzo 2021

(Featured image source: PxHere)