Tra cambiamento e continuità: quale bilancio per la politica estera di Rodrigo Duterte?
Dopo sei anni alla guida delle Filippine, il presidente Rodrigo Duterte ha deciso di non candidarsi alla propria rielezione. Il nuovo capo di stato si troverà quindi a fare fronte a tutte le problematiche interne del paese così come lo spinoso argomento della politica estera.
È quindi giunto il momento di ripercorrere le tappe più importanti che hanno marcato il metodo Duterte sulla scena internazionale, e capire quali sono le sfide che attendono il nuovo presidente.
Storicamente, la politica estera delle Filippine è fortemente influenzata dal trattato di mutua difesa USA-Filippine del 1951. Infatti, l’ex potenza coloniale è sempre stata l’interlocutore favorito per questioni strategiche e militari. L’alleanza permetteva agli Stati Uniti di mantenere una forte presenza militare nel paese, all’incirca quindici mila uomini negli anni 1980[1]. Le forze americane erano distribuite in numerose basi militari, tra le quali l’immensa base nella Baia di Subic, la più grande in tutta l’Asia. Nel 1991 non venne però rinnovato l’accordo per la presenza militare statunitense, e ciò costrinse l’alleato ad abbandonare tutte le sue posizioni nel paese. Otto anni dopo fu ratificato un accordo noto come il “Visiting Forces Agreement” per esercitazioni militari congiunte.[2]
Nei successivi quattro anni dalla partenza delle forze americane, iniziò a intensificarsi la disputa tra le Filippine e la Cina nel Mar Cinese Meridionale (MCM). Nel 1995, la marina cinese decise di occupare la scogliera di “Mischief Reef” [3], dando così il via ad una lunga serie di incidenti diplomatici tra i due paesi.
La questione del MCM è un’importante disputa territoriale e geopolitica tra la Cina e tutti i paesi della regione, incluse le Filippine, e rappresenta il cuore della politica estera di quest’ultima. Le rivendicazioni di Pechino si estendono all’intero Mare e si sovrappongono alle acque territoriali e zone economiche esclusive di numerosi altri stati, tra cui le Filippine. Le posizioni cinesi sono state spesso severamente contestate dalla comunità internazionale in quanto eccessive ed in totale violazione con tutti i trattati internazionali, ratificati dalla Cina, sul diritto del mare. [4]
Le tensioni tra Manila e Pechino non fecero altro che aumentare a seguito di continui incidenti diplomatici, brevi scontri armati e costruzioni di basi militare. Nel 2013 l’allora presidente Aquino II, richiese un arbitraggio alla Corte permanente di arbitrato dell’ONU. Una decisione che irritò notevolmente la leadership cinese, che decise di non presentarsi davanti alla corte. Il 12 luglio 2016, solo dodici giorni dopo l’investitura di Duterte, il tribunale espresse il proprio parere dando pienamente ragione alle Filippine.[5]
Il mandato del neopresidente iniziò quindi in un clima particolarmente teso con il vicino cinese. Duterte, però, durante la sua campagna presidenziale fu estremamente chiaro sulla questione del MCM, voleva pacificare i rapporti con la Cina e sedersi al tavolo delle trattative direttamente a tu per tu con Pechino. Un approccio ovviamente incoraggiato e sostenuto dalla super potenza asiatica. Inoltre, il risultato dell’arbitrato, approvato all’unanimità dai cinque giudici, fu accolto con grandissima riservatezza dalla nuova amministrazione filippina. Durante i summit ASEAN ed il East Asian Summit del 2016, il presidente Duterte non solo non menzionò neanche il risultato dell’arbitrato, ma tenne pubblicamente una serie di commenti insultanti nei confronti del presidente Obama.[6]
La strategia iniziale della politica estera di Duterte era di normalizzare al più presto i rapporti con la Cina per potersi concentrare sulla politica interna, espressamente dichiarata come la priorità del nuovo presidente. Sedendosi al tavolo delle trattative, Duterte sperava di ottenere delle concessioni da parte di Pechino ed evitare tensioni in ambito regionale, una sorta di politica di buon vicinato. La speranza dell’amministrazione filippina era di entrare nei piani delle nuove vie della seta cinesi, e poter ricavarne importanti benefici economici. [7]
Inoltre, questo nuovo approccio fu dettato da una serie di considerazioni estremamente pragmatiche. La marina militare filippina non poteva opporsi in maniera credibile alla marina cinese. Un conflitto aperto, anche di bassa intensità, sarebbe quasi sicuramente stato disastroso per Manila. Infine, il trattato di mutua difesa con gli Stati Uniti risulta al quanto vago, e quindi lascia spazio a diverse interpretazioni sulla sua attuazione in ambito delle controversie territoriali. Il presidente filippino non ha mai creduto che la flotta americana si sarebbe mai schierata a suo fianco in caso di conflitto sulla questione MCM. [8]
Il miglioramento dei rapporti sino-filippini portarono però ad un brusco deteriorarsi della relazione con lo storico alleato americano. Nell’arco di pochi mesi il presidente Duterte decise di mettere un termine alle esercitazioni militari bilaterali, e alle pattuglie congiunte nelle acque filippine nel MCM, considerate come una provocazione nei confronti della Cina. Il punto più basso dei rapporti tra i due paesi fu raggiunto nel 2017 quando l’amministrazione Obama inizio a criticare apertamente la cosiddetta guerra alla droga di Duterte. Proprio nello stesso anno, dopo una visita ufficiale a Pechino, il presidente filippino dichiaro pubblicamente la rottura con gli Stati Uniti e l’allineamento con la Cina. [9]
Tra il 2017 ed il 2020 vennero firmati numerosi accordi economici, per un ammontare di 24 miliardi di dollari. Una vera e propria manna dal cielo per le Filippine, che avrebbe potuto rappresentare un vero e proprio motore economico per il grande piano infrastrutturale filippino noto come “Build, Build, Build”.[10]
Malgrado gli sforzi per questa politica di buon vicinato ed alleanza informale con la Cina, gli ultimi due anni del mandato di Duterte sono stati marcati da un graduale riavvicinamento nei confronti di Washington. Tre fattori possono essere attribuiti a questo nuovo cambio di rotta. In primo luogo, dal forte sentimento anticinese tra la popolazione filippina. Difatti, nonostante un elevata popolarità, la politica estera pro-cinese del presidente Duterte è sempre stata accolta molto freddamente dalla popolazione. Inoltre, le promesse di investimenti cinesi non si sono mai realmente concretizzate. Infine, Pechino non ha mai aperto a qualsiasi concessione nel MCM e ha condotto alcune operazioni particolarmente aggressive e pericolose tra la fine del 2019 ed inizio 2020.[11]
Malgrado qualche incidente diplomatico minore, le relazioni tra Stati Uniti e Filippine conobbero un nuovo slancio con l’avvento nel nuovo decennio. In un cambio di rotta abbastanza spettacolare, nel mese di luglio il presidente Duterte autorizzò il Department of Foreign Affairs a riconoscere ufficialmente il risultato dell’arbitraggio nel MCM. Due mesi dopo, alle Nazioni Unite, lo stesso Duterte affermo che il risultato della sentenza era “senza compromessi”.
A settembre dello stesso anno il segretario alla difesa filippino, Delfin Lorenzana si recò a Manila per celebrare il settantesimo anniversario del trattato di mutua difesa tra i due paesi. Un segnale particolarmente importante fu il pieno sostegno del nuovo trattato AUKUS tra Stati Uniti, Gran Bretagna ed Australia, un’alleanza indo-pacifica dichiaratamente volta a contrastare la potenza cinese. Infine, a fine mandato, Duterte accettò finalmente di implementare il patto di “Enhanced Defense Cooperation Agreement”, firmato nel 2014 ma ufficiosamente messo in stand-by dal lui stesso nel 2016. L’accordo, di immensa portata geopolitica, permette agli Stati Uniti di costruire e gestire cinque basi militari e logistiche, e ridurre notevolmente i tempi di intervento in caso di attacco cinese nel MCM. [12]
La politica estera di Duterte è spesso stata definita come volatile[13] o confusionaria, una politica estera dettata dall’impreparazione e dalle radici populiste del presidente. [14] Non mancano le critiche a molte delle decisioni prese nel corso del suo mandato, e soprattutto quella riguardante un riavvicinamento alla Cina, spesso considerata come una forma di sottomissione alla potenza di Pechino. La prima metà del mandato del presidente è stata sicuramente vittima dell’inesperienza, eccessiva sicurezza nei propri mezzi, e del profondo e personale antiamericanismo di Duterte. [15]
Nonostante ciò, sarebbe probabilmente sbagliato non considerare una reale volontà dell’allora nuovo presidente di tentare un approccio radicalmente diverso per sbloccare la questione del MCM. Inoltre, una politica di buon vicinato con la Cina, egemone regionale e seconda potenza mondiale, può essere considerata come una scelta più pragmatica di quanto si possa pensare. Soprattutto considerando la scarsa volontà, fino a tempi recenti, da parte degli Stati Uniti di essere trascinati in un conflitto nel MCM. Malgrado notevoli sforzi, può considerarsi alquanto ironico che a fine mandato il presidente filippino si sia allineato totalmente sulle posizioni del suo predecessore e rafforzato l’alleanza sino-filippina.
[1] The U.S.-Philippines Defense Alliance, Council on Foreign Relations, 21 ottobre 2016, https://www.cfr.org/backgrounder/us-philippines-defense-alliance
[2] LOOK BACK: When the Senate said ‘no’ to US bases renewal, The Rappler, 16 settembre 2016, https://www.rappler.com/newsbreak/iq/146410-look-back-senate-no-us-base-renewal-1991/
[3] The Recent History of the South China Sea: A Timeline, International Crisis Group, 29 novembre 2021, https://www.crisisgroup.org/asia/south-east-asia/south-china-sea/recent-history-south-china-sea-timeline#:~:text=This%20brief%20chronology%20highlights%20major,between%20China%20and%20the%20Philippines.
[4] Territorial Disputes in the South China Sea, Council on Foreign Relations, 4 maggio 2022, https://www.cfr.org/global-conflict-tracker/conflict/territorial-disputes-south-china-sea
[5] The Philippines and the South China Sea/West Philippine Sea Conflict: Challenges and Prospect for Peace, Diplomacy, and External Defence Capability, di Noel M. Morada, nel volume From Aquino II to Duterte (2010-2018) Change, Continuity and Rupture, 2019, pp. 273 – 274
[6] The Duterte Administration’s Foreign Policy: Unravelling the Aquino Administration’s Balancing Agenda on an Emergent China, Renato Cruz de Castro, 1 dicembre 2016, Journal of Current Southeast Asian Affairs https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/186810341603500307
[7] Ibidem
[8] The Philippines and the South China Sea/West Philippine Sea Conflict: Challenges and Prospect for Peace, Diplomacy, and External Defence Capability, di Noel M. Morada, nel volume From Aquino II to Duterte (2010-2018) Change, Continuity and Rupture, 2019, pp 277-278
[9] The Duterte Administration’s Foreign Policy: Unravelling the Aquino Administration’s Balancing Agenda on an Emergent China, Renato Cruz de Castro, 1 dicembre 2016, Journal of Current Southeast Asian Affairs https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/186810341603500307
[10] The New Normal of President Duterte’s “independent” Foreign Policy, di Julio Amador and Deryk Baladjay, Asia Pacific Bulletin N° 540, 16 Dicembre 2020
[11] Duterte’s Dalliance With China Is Over, di Derek Grossman, Foreign Policy, 2 novembre 2021 https://foreignpolicy.com/2021/11/02/duterte-china-philippines-united-states-defense-military-geopolitics/
[12] Ibidem
[13] The One Real Foreign Policy of Today’s Volatile Philippine President, di Ralph Jennings, Forbes, 13 novembre 2016, https://www.forbes.com/sites/ralphjennings/2016/11/13/philippine-presidents-real-foreign-policy-goal/
[14] Duterte’s Foreign Policy Confusion, Lowell Bautista, Austrian Institute of International Affairs, 25 novembre 2016, https://www.internationalaffairs.org.au/australianoutlook/dutertes-foreign-policy-confusion/
[15] The myth of Rodrigo Duterte’s “independent” foreign policy, di Andrea Chloe Wong, Lowy Institute, 13 agosto 2020, https://www.lowyinstitute.org/the-interpreter/myth-rodrigo-duterte-s-independent-foreign-policy
(Featured image source: Flickr World Economic Forum)