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Cyberbullismo e suicidio in Giappone – il caso emblematico di Hana Kimura

Fiorella Monzòn

“Multo quam ferrum lingua atrocior ferit” – un antico proverbio latino insegna che la lingua ferisce molto più della spada. Si tratta di un avvertimento che continua, purtroppo, ad essere vero e attuale ancora oggi, perché in alcuni casi le parole possono uccidere per davvero.

Con l’avvento di Internet e dei social media, capaci di rivelarsi tanto utili in alcuni casi quanto letali in altri, la crudeltà che possono trasmettere le persone con semplici frasi viaggia molto rapidamente e colpisce senza pietà e con una pervasività mai vista prima d’ora. A volte, sembra quasi che le persone che lanciano messaggi d’odio sul web lo facciano senza riflettere o rendersi conto delle ripercussioni che questi possono avere sui destinatari – forse perché internet accorcia le distanze, ma allo stesso crea una barriera impenetrabile che non fa percepire la persona a cui ci si rivolge come un nostro simile, con vulnerabilità e sentimenti che possono essere feriti tanto facilmente quanto i nostri.

È nato così un nuovo fenomeno, o meglio una nuova piaga sociale che ha già iniziato a mietere vittime: il cyberbullismo.

In Corea del Sud, del resto, dall’inizio del 2000 si sono registrati addirittura 40 suicidi tra le celebrities, spesso legati a casi di cyberbullismo, di cui sono stati raccolti addirittura 80.537 report dal 2014 ad oggi. Purtroppo, il pattern che collega l’abuso online e il suicidio si è riscontrato anche in altri Paesi asiatici, andando a colpire altre personalità del mondo dello spettacolo e attirando la preoccupazione dell’opinione pubblica internazionale. Tristemente noto è ormai diventato il caso della giovane Hana Kimura, che ha fatto riemergere con forza il discorso in Giappone, sia a livello sociale che legislativo.

“愛してる、楽しく長生期してね。ごめん。” – “Vi voglio bene. Vivete una vita lunga e felice. Mi dispiace” – così recita il suo ultimo post su Instagram, che la ritrae in una foto con il suo gatto, in un messaggio rivolto ai suoi fan. Kimura, una stella nascente del wrestling femminile e parte del cast del reality show “Terrace House”, si è tolta la vita il 23 maggio scorso, a soli 22 anni, dopo settimane di costanti attacchi online alla sua persona. Così come è accaduto a Sulli e Goo Hara in Corea del Sud, i suoi social media sono stati invasi da messaggi di odio, con critiche sul suo aspetto fisico riguardo al colore scuro della sua pelle, alla sua mancanza di femminilità con commenti che la definivano un “gorilla”, al suo carattere vivace e gioioso, fino a post che le chiedevano letteralmente di “andare a morire”.

“Ricevo quasi 100 commenti brutali ogni giorno. Non posso negare di sentirmi ferita. ‘Vai a morire, sei disgustosa, vattene via’ – Sono sempre stata io la prima a pensare queste cose di me. Grazie per avermi fatto nascere, mamma”, aveva scritto Kimura in un tweet prima dell’alba di quel 23 maggio. Poco più tardi, l’agenzia di Kimura annunciava la sua scomparsa e diversi biglietti d’addio venivano ritrovati nel suo appartamento.

I fan in lutto hanno invaso Twitter con parole di affetto a lei rivolte e diverse persone hanno iniziato a postare messaggi riguardo agli abusi psicologici che si subiscono sui social media, riconoscendolo subito come un caso di cyberbullismo e utilizzando l’hashtag “hibo chusho” (l’atto di insultare in giapponese). I post corredati di questo hashtag hanno raggiunto la cifra di 1,3 milioni entro la serata del 24 maggio, risultando come il principale argomento tra le tendenze in Giappone. Allo stesso tempo, molti dei commenti tossici sono stati cancellati, così come è accaduto addirittura agli account delle persone che li avevano postati.

Il decesso di Kimura è stato confermato pubblicamente da World Wonder Ring Stardom, l’organizzazione professionale di wrestling femminile (“joshi puroresu” in giapponese) di Tokyo che la rappresentava. “Siamo addolorati nel comunicarvi la scomparsa della nostra Hana Kimura”, ha affermato Stardom in una dichiarazione, “Hana viveva la sua vita seguendo il proprio ritmo. Era divertente, carismatica e una persona veramente gentile”. La federazione non ha rivelato ulteriori dettagli sulla sua scomparsa, rilasciando un altro comunicato successivamente: “stiamo ancora cercando di comprendere i dettagli e continueremo a cooperare nelle indagini sul caso”, aggiungendo di voler lavorare più seriamente sul benessere emotivo dei propri talenti.

Hana Kimura aveva seguito i passi della madre Kyoko Kimura, in passato una famosa wrestler professionista, diplomandosi in un’accademia di formazione specializzata nel 2016. Nel 2019, è entrata ufficialmente a far parte della Stardom, iniziando la scalata verso il successo e vincendo numerosi campionati e tornei. È stato però il suo ruolo in “Terrace House”, lo show co-prodotto e distribuito da Netflix, a renderla famosa sia in Giappone sia a livello internazionale, in particolare negli Stati Uniti e nel resto dell’Asia.

Spesso definito come “anti-reality TV show”, il programma segue uno schema tipico per cui sei sconosciuti vivono insieme nella stessa casa e si danno degli appuntamenti, ma a differenza di tanti show dello stesso format non ne condivide il carattere drammatico, preferendo mostrare invece aspetti comuni della vita quotidiana come fare la spesa e andare al lavoro. Kimura ha partecipato all’ultima stagione delle serie ambientata a Tokyo, che è andata in onda lo scorso maggio, e ha colto l’occasione per parlare di temi importanti, come le difficoltà legate al suo essere una wrestler donna, le idee errate che il pubblico si fa del suo lavoro e i problemi che nascono quando si cerca di trovare un equilibrio tra attività professionale e sfera privata. “Terrace House” è andato incontro ad un’interruzione improvvisa dopo la morte di Kimura, con un messaggio di condoglianze pubblicato sul sito ufficiale del programma, insieme all’annuncio di sospensione dello streaming e della trasmissione degli episodi fino a giugno.

Numerose personalità di spicco del mondo del wrestling le hanno poi dedicato messaggi di condoglianze, prendendo posizione contro il cyberbullismo, tra cui Mick Foley, Nia Jax, and Kelly Klein. “Non ci sono parole in grado di curare questa ferita”, ha commentato Ronda Rousey, entrata nella UFC Hall of Fame ed ex campionessa WWE femminile, che ha definito il cyberbullismo come “una minaccia reale e sempre più sentita in tutta la società”. Anche l’amica e collega Su Yung ha espresso le sue condoglianze: “Ti vorrò bene e mi mancherai sempre, amica mia. Sei la mia sorellina”. L’ex wrestler Chigusa Nagayo ha espresso su Twitter il suo dolore, ponendo l’accento sulle colpe dei social: “I social media non dovrebbero essere uno strumento per uccidere qualcuno con le parole. […] Era un’atleta, una wrestler professionista con un futuro. Ha solo interpretato la parte del cattivo. Nella realtà, era […] educata e gentile”.

Anche altri membri del cast di “Terrace House” hanno poi raccontato le esperienze di cyberbullismo che hanno vissuto dopo aver partecipato allo show. Ryo Tawatari, che ha lasciato il reality a febbraio, ha raccontato in un post di come gli avessero presentato gli eventuali insulti ricevuti sul web come un prezzo da pagare inevitabilmente quando si diventa famosi, ancora prima di entrare nel programma, arrivando a chiedersi se tutto ciò sia veramente accettabile, vista “l’agonia” che lui e suoi colleghi devono sopportare ogni giorno.

“Anche io sono stata denigrata dopo essere comparsa su “Terrace House”, e ne sono rimasta ferita”, ha rivelato su Instagram Emika Mizukoshi, che ha lasciato il programma poco dopo Tawatari. “Anche noi della televisione siamo essere umani e abbiamo dei sentimenti. Le parole possono essere delle armi letali”, ha proseguito, aggiungendo che “dobbiamo mettere fine a questa percezione per cui si pensa che si possa dire qualsiasi cosa alle cosiddette persone famose”.

Un altro caso riguarda poi Toshiyuki Niino, amico di Kimura e membro del cast di “Terrace House”, che ha rilasciato un’intervista al giornale Nikkei Asian Review sulla sua esperienza personale con il bullismo sul web. Poco dopo il suo ingresso nel reality, centinaia di account anonimi hanno iniziato a riversare messaggi d’odio sui social media contro la sua persona. “Ricevo fino a 200 messaggi al giorno pieni di insulti come ‘sei raccapricciante’, provenienti da tutto il mondo”, ha raccontato Niino. Il motivo di questo risentimento sarebbe dovuto a un episodio del tutto banale: in una scena Niino ha, infatti, bevuto dalla stessa bottiglia di birra da cui aveva preso un sorso poco prima un’altra partecipante e, da allora, molti fan di “Terrace House” lo descrivono in questo modo, taggandolo in tweet con parole aspre e denigratorie. “Sono rimasto sorpreso nel vedere come le persone mi giudichino una cattiva persona basandosi sullo show”, ha spiegato, specialmente alla luce del fatto che il programma è editato in modo di creare un personaggio che non corrisponde a chi sia veramente. “So che nella vita reale ci sono molte persone che mi sostengono”, ha concluso Niino, “quindi so che i miei assalitori sono solo una parte [del pubblico]. Ma se non si riesce a pensare in modo positivo, come faccio io, è facile finire con il credere che tutti nel mondo ti odino”.

Anche molte figure pubbliche e del mondo dello spettacolo hanno dedicato post online a Kimura, parlando delle proprie esperienze. Ad esempio, la cantante e modella Kyary Pamyu Pamyu ha twittato che “è difficile, anche se le persone ti dicono di ignorare i commenti abusivi. Non dimenticate che anche le celebrità sono esseri umani”, mentre la modella Nicole Fujita ha rivelato in un post di aver ricevuto minacce di morte da sconosciuti. “Mi è stato detto molte volte di dovermi preparare a questo tipo di cose una volta diventata famosa. È spaventoso che le persone la pensino in questo modo”, ha aggiunto.

Il comico Smiley Kikuchi, diffamato in passato a causa di una falsa accusa di coinvolgimento in un omicidio, ha commentato la vicenda: “Al pensiero di quanto fosse afflitta e abbia sofferto prima della sua morte, mi sento così triste e a pezzi”. L’imprenditore Yusaku Maezawa ha posto l’accento sulla necessità di sanzioni concrete contro la diffamazione, spiegando che “le vittime non devono ignorare l’abuso, ma fare denuncia. Le azioni delle vittime serviranno come deterrente generale”.

È, infatti, il quadro legislativo a rappresentare un punto delicato su cui molti chiedono una riflessione più seria. Tra questi, l’avvocato Yamato Sato è impegnato proprio nella difesa dei diritti delle celebrities e ha spiegato in una dichiarazione pubblica che le vittime di commenti abusivi da parte delle masse sui social media e altre piattaforme simili possono chiedere compensazioni monetarie. Il processo è complicato, ha sottolineato Sato, e con costi non indifferenti, ma la vera difficoltà sta nel convincere le corti giudiziarie a supportare le richieste della vittima. “Se la vittima è una celebrità, tutto questo potrebbe rovinare la sua immagine pubblica. In definitiva, non ci sono sistemi che proteggono il nome e la salute mentale delle persone, ed è questo il grosso problema”.

Il ministro degli Affari Interni e della Comunicazione, Sanae Takaichi, ha sottolineato subito dopo l’accaduto la necessità di velocizzare i dibattiti riguardo alla legislazione sul cyberbullismo a livello governativo, proponendo anche un panel per discutere della decisione di rendere gli utenti identificabili nel caso in cui i loro post risultino diffamatori. Yoshihide Suga, all’epoca Segretario generale del Gabinetto, ha rivolto le sue condoglianze per la dipartita di Kimura, affermando che “è importante promuovere la cultura su Internet affinché gli utenti non usino i commenti per ferire il prossimo con la calunnia”, così come ha fatto l’ex Primo Ministro Yukio Hatoyama su Twitter, sostenendo che il Giappone dovrebbe considerare concrete sanzioni per punire i cyberbulli che si nascondono dietro l’anonimato.

Il problema del cyberbullismo è, quindi, particolarmente sentito in Giappone, tanto che, secondo i dati raccolti nell’anno fiscale che si è concluso a marzo 2020, più di 5.100 persone hanno contattato la linea affiliata al governo giapponese dedicata a chi ha subito abusi online, un numero altissimo se confrontato a quello di nove anni fa, di poco superiore ai 1.000. È stata proprio la morte di Hana Kimura che ha spinto diverse figure politiche a sollevare la questione della necessità di nuove norme per impedire il cyberbullismo, anche perché il suo non è stato l’unico caso di suicidio tra i personaggi famosi quest’anno.

Altre tre celebrità del mondo dello spettacolo giapponese si sono, infatti, tolte la vita nel 2020, dando luogo a tendenza preoccupante. Il 18 luglio, l’attore Haruma Miura, di soli 30 anni, si è suicidato impiccandosi nella sua abitazione di Tokyo, dove è stato ritrovato dal suo agente, che si era recato a casa sua preoccupato per la sua assenza dal set. Nonostante sia stato portato in ospedale d’urgenza, il personale medico non ha potuto fare altro che dichiararne il decesso. Il manager ha trovato accanto al corpo un quaderno in cui l’attore aveva scritto del suo desiderio di morire. Allo stesso modo, il 14 settembre, a soli 36 anni, l’attrice Sei Ashina è stata trovata senza vita nel suo appartamento di Tokyo dal fratello, preoccupato perché non rispondeva alle sue chiamate e ai suoi messaggi. Il suicidio è stato confermato dalla polizia di Tokyo e dalla sua agenzia, pur non essendo stato identificato nessun messaggio d’addio. L’ultimo caso risale al 27 settembre, quando l’attrice Yuko Takeuchi, di quarant’anni, è stata ritrovata priva di sensi nel suo appartamento a Tokyo dal marito, l’attore Taiki Nakabayashi, ed è stata trasportata in ospedale, dove ne è stato dichiarato il decesso. Anche se non è stato ritrovato nessun messaggio o biglietto che spiegasse il motivo del suo gesto, il sospetto principale è che si sia trattato di un nuovo caso di suicidio e le indagini della polizia si sono dirette in quella direzione.

Sono numerosi, dunque, gli eventi tragici di questo tipo che si stanno ripetendo con troppa frequenza e che spesso coinvolgono persone molto giovani. Il cyberbullismo è in molti casi una delle cause principali, contribuendo al senso di disperazione e alla depressione che in genere accompagnano un gesto quale il suicidio. Purtroppo, dobbiamo ricordarci anche del fatto che questo fenomeno sociale non riguarda solo il Giappone e diversi sono i casi come quello di Kimura che si sono verificati nel mondo. Il pericolo è grande non solo per il benessere mentale di personaggi famosi, che per via della notorietà sono inevitabilmente più esposti alla denigrazione delle masse, ma anche per chiunque diventi vittima di questo tipo di attacchi sul web.

In poche parole, il cyberbullismo è più diffuso di quanto si possa pensare. La morte di una figura con così tanto peso mediatico quale era Kimura ha, quindi, puntato i riflettori su un problema preesistente che riguarda moltissimi utenti del web ogni giorno, specialmente tra le fasce d’età più giovani.

Nel 2019, un’inchiesta digitale dell’ACCC (Australian Competition and Consumer Commission) ha rilevato un aumento del 32% dei casi di cyberbullismo negli ultimi dieci anni. Dall’inchiesta è emerso anche che il cyberbullismo è la causa di almeno tre sucidi a settimana tra i bambini tra i 5 e i 17 anni, su un totale di 750 suicidi ogni anno tra i ragazzi dai 13 ai 17 anni, e dalle stime risulta addirittura che in tutte le fasce d’età gli atti di cyberbullismo provochino fino a dieci suicidi a settimana. Negli Stati Uniti, uno studio del 2018 del Pew Research Center ha evidenziato come il 59% dei teenager sia stato bullizzato o tormentato online almeno una volta. Allo stesso modo, un’indagine a livello mondiale del 2012, sponsorizzata da Reuters, ha rilevato che l’80% degli intervistati consideravano il cyberbullismo un grave problema nel proprio Paese, mentre, secondo uno studio di IPSOS/Reuters del 2018, un genitore su 5 ha affermato che i propri figli siano stati vittime di bullismo sul web. Nel 2020 è stato pubblicato un interessante saggio sull’argomento su The Lancet, nel quale gli autori hanno delineato un legame tra l’intensificarsi di comportamenti suicidi non fatali, associati con una maggiore incidenza nei tassi di suicidio, e l’influenza esercitata da bullismo e cyberbullismo sui singoli soggetti. La conclusione dello studio rimarca, ancora una volta, la necessità di delineare e rafforzare programmi e politiche che mirino a ridurre bullismo e cyberbullismo per poter vedere un calo nei comportamenti sucidi e nelle morti ad essi associati.

Un problema dell’età moderna che presenta ripercussioni a livello globale, dunque, tanto da diventare una delle cause principali di suicidio al mondo e da richiedere con insistenza una più attenta riflessione da parte dei governi. In Giappone, dopo la scomparsa di Hana Kimura, il Partito Liberal Democratico (LDP) si è riunito per discutere su una proposta di legge che permetterebbe di risalire all’identità dei “troll” anonimi sul web attraverso la richiesta ai fornitori dei servizi internet di rendere pubbliche le informazioni relative agli utenti individuati come responsabili di messaggi diffamatori tramite post online. Inoltre, subito dopo la notizia della morte di Kimura, le sedi giapponesi di Facebook, Twitter e Line hanno rilasciato una dichiarazione congiunta riguardo alla volontà di ridurre la possibilità dei singoli di postare attacchi personali sulle proprie piattaforme. Una delle soluzioni citate sarebbe il divieto generalizzato per tutti gli utenti di attaccare intenzionalmente con post e commenti offensivi gli altri fruitori del web.

Tuttavia, nonostante l’intenzione di molti governi di trovare un modo per minimizzare l’incidenza del cyberbullismo, rimangono importanti dubbi sulle modalità e azioni da adottare, soprattutto in relazione ad argomenti quali censura e libertà di espressione. Tracciare una linea di confine tra libertà di parola e atto criminale rappresenta un passaggio molto delicato e che desta non poche preoccupazioni anche tra gli esperti. “Il punto fondamentale della questione è che dobbiamo trovare una soluzione. Ci sono certe cose che le persone non dovrebbero poter dire online. C’è sicuramente una linea da qualche parte, ma i tribunali non hanno ancora definito dove essa si trovi”, ha affermato Justin W. Patchin, direttore del Cyber-bullying Research Center e professore di diritto penale presso l’Università del Wisconsin. Il fatto che non esistano, quindi, sufficienti precedenti giudiziari in merito alla legalità, o meglio, all’illegalità delle espressioni di odio su Internet – in particolare se rivolte a un individuo specifico – contribuisce alle difficoltà incontrate dai governi nella gestione del problema.

A dicembre 2020, il tema del bullismo, unitamente a quello del razzismo, in Giappone è tornato sotto i riflettori grazie al nuovo spot pubblicitario della Nike, che ha attirato sia forte approvazione sia aspre critiche sui social media. Lo spot, intitolato “Ugokashitsuzukeru. Jibun wo. Shorai wo. The future Isn’t Waiting” – ossia “Continua a muoverti. Te stesso. Il futuro. Il futuro non aspetta” – si sofferma su concrete esperienze di vita, prendendo d’esempio tre giovani giocatrici di calcio provenienti da diversi background: una ragazza giapponese, una coreana e una per metà giapponese e metà afroamericana, proprio come la tennista Naomi Osaka. L’obiettivo del video è mostrare come queste ragazze debbano lottare quotidianamente contro il bullismo, la pressione esercitata dalla famiglia, la sensazione di essere diverse e l’esclusione sociale, cercando allo stesso tempo di crearsi un futuro attraverso lo sport.

Tuttavia, lo spot è diventato un nuovo esempio di come Internet possa essere un luogo pieno insidie. La destra giapponese ha sottolineato subito che il video ha ottenuto più giudizi negativi che positivi, con 18.000 “non mi piace” e 17.000 “mi piace”, mentre su YouTube compare un lungo elenco di commenti offensivi e razzisti, a dimostrazione del fatto che il problema del bullismo viene spesso ignorato nel Paese, nonostante in Giappone sia addirittura possibile assicurare i propri figli nel caso diventino vittime di bulli. I commenti negativi sono, in realtà, la dimostrazione che Nike ha colpito nel segno con questa pubblicità, tanto che molti ne hanno riconosciuto i meriti grazie alla capacità dello spot di attirare l’attenzione e favorire il dibattito su tematiche come bullismo e razzismo nell’ottica di raggiungere una maggior presa di coscienza. La vicenda, inoltre, mostra ancora una volta quanto Internet possa essere un’arma a doppio taglio: da una parte può rappresentare un’ottima cassa di risonanza per avanzare un discorso positivo su argomenti fondamentali, come ha cercato di fare Nike in questo caso, ma dall’altra può diventare uno spazio dove gli individui sentono di poter scagliare offese e ingiurie senza conseguenze, come dimostrano invece i commenti negativi al video stesso.

In conclusione, è ormai possibile affermare con certezza che il cyberbullismo si è diffuso anche in Giappone, dove la scomparsa di Hana Kimura e di altri giovani talenti dello star system giapponese hanno ravvivato la discussione politica e sociale riguardo ai pericoli di questo fenomeno e della mancanza di controlli e sanzioni per chi si macchia di questa colpa. Kimura è stata vittima di attacchi sistematici alla sua persona legati al suo aspetto, al suo modo di vivere la femminilità e alla sua professione, con commenti diffamatori che ne hanno minato l’autostima e la stabilità emotiva. Anche in Giappone, dove le pressioni sociali a livello lavorativo e privato sono estremamente sentite dagli individui, è emersa la necessità di pensare alle conseguenze della carenza di restrizioni su Internet con maggiore attenzione e serietà. Il problema da affrontare richiede senz’altro riflessioni approfondite e azioni concrete in quella che in fondo è già l’era del digitale, proprio per proteggere le nuove generazioni che si avvicinano ad Internet ed arginare un fenomeno sociale che si è rivelato distruttivo per chiunque vi entri a contatto.

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