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Commenti che uccidono: il cyberbullismo in Corea del Sud attraverso i casi di Sulli e Goo Hara

Arianna Bianchin

Il fenomeno mondiale del cyberbullismo sembra aver trovato in Corea del Sud terreno fertile per attecchire e i casi più recenti di suicidi causati dal cyberbullismo tra personaggi famosi nel Paese hanno puntato i riflettori su alcuni aspetti controversi della società sudcoreana con cui provare a spiegare il perché della pervasività di tale piaga sociale proprio in una delle maggiori potenze tecnologiche mondiali.

Tra le vittime famose più recenti del cyberbullismo in Corea del Sud vi sono state Sulli e Goo Hara, le quali si sono tolte la vita a distanza di sei settimane l’una dall’altra tra ottobre e novembre del 2019. Il loro suicidio ha fatto il giro del mondo poiché, oltre che essere amiche, le due ragazze erano molto famose in Sud Corea, ma conosciute anche all’estero, in quanto ex membri di due band femminili di K-pop. Il K-pop, abbreviazione di Korean pop, è il genere musicale più diffuso e rappresentativo in Sud Corea e negli ultimi anni ha raggiunto un alto grado di popolarità anche nel resto del mondo grazie all’ascesa di gruppi come i BTS e le BlackPink che hanno scalato le classifiche musicali mondiali. Questi artisti che diventano famosi da giovanissimi imparano fin da subito, e spesso a caro prezzo, a dover gestire non solo il successo e la fama che ne deriva ma anche le critiche e l’invidia nei loro confronti che spesso sfocia in manifestazioni d’odio gratuito per lo più veicolato dai nuovi mezzi di comunicazione di massa, quali YouTube, Instagram, Twitter e Facebook. Queste piattaforme, sfruttate dalle agenzie dello spettacolo e dagli artisti in prima persona per pubblicizzare la loro immagine e i loro contenuti, diventano il luogo virtuale in cui i fan possono dichiarare il proprio affetto nei confronti dei loro idoli ma per questi ultimi si trasformano spesso in una vera e propria arena in cui vengono sottoposti a critiche e  attaccati da commenti cattivi e violenti su tutto ciò che li riguarda, dall’aspetto fisico al modo di vestirsi, dai loro comportamenti in pubblico alla loro vita privata. Come ha sottolineato Lee Hark-joon, giornalista sudcoreano esperto del mondo del K-pop, “la loro professione fa sì che [questi artisti] siano particolarmente soggetti a soffrire di problemi a livello psicologico. Sono sotto esame sui social media ventiquattr’ore su ventiquattro e le fake news sulla loro vita privata si diffondono all’istante”[1].

Il Caso Sulli

Sulli, nome d’arte di Choi Jin-ri, è stata trovata morta il 14 ottobre 2019 all’età di 25 anni nella sua casa di Seongnam, alla periferia sud-est di Seoul, dal suo manager che, dopo una serie di chiamate senza risposta, aveva deciso di andare a controllare direttamente a casa della ragazza cosa fosse successo. Diventata famosa molto giovane come membro della band femminile di K-pop chiamata f(x), si era allontanata definitivamente dal gruppo nel 2015 sia per concentrarsi sulla sua carriera di attrice e solista ma, secondo alcuni fonti, anche per prendersi una pausa dallo stress e dalla depressione causati dalla pressione mediatica e dagli attacchi degli haters online. Non è un caso che, proprio nel 2019, Sulli fosse diventata la presentatrice di un talk show sulla rete coreana JTBC intitolato “The Night of Hate Comments”, in cui gli ospiti raccontavano le loro esperienze con i commenti online e il cyberbullismo.

Come da lei stessa raccontato durante le puntate dello show, Sulli era stata vittima di violenti attacchi in rete. Secondo il colonnista del Billboard Jeff Benjamin, questi possono essere spiegati alla luce del fatto che la sua era una figura in controtendenza, e per questo controversa, in una società e in un’industria dello spettacolo come quelli sudcoreani che sono invece piuttosto conservatori: “Era una star sinceramente schietta in un’industria che probabilmente avrebbe preferito che lei rimanesse in silenzio”[2]. Sulli infatti si dichiarava una forte sostenitrice del movimento femminista: dopo aver pubblicato alcune foto sulle sue pagine social in cui non indossava il reggiseno, era stata investita di commenti online misogini e sessisti; gli stessi che aveva subito anche nel 2017 per una scena di sesso con un collega nel film Real in cui aveva recitato. Sempre durante una puntata del suo show, Sulli aveva commentato la sua scelta bra-free come espressione della libertà individuale: “Quando posto foto senza il reggiseno, le persone commentano tanto. Avrei potuto lasciarmi spaventare ma non l’ho fatto perché ho pensato che sarebbe bello se sempre più persone riuscissero a scardinare i loro pregiudizi”[3].

Questo, purtroppo, non era l’unico aspetto della sua vita ad essere oggetto di attacchi in rete. Dopo la sua ultima festa di compleanno, era stata subissata di commenti omofobi per aver dato un bacio a stampo proprio all’amica Goo Hara; un mese prima di morire, aveva fatto molto scalpore anche una diretta streaming trasmessa dalla stessa Sulli durante una serata fuori con gli amici e per la quale era stata attaccata sia durante la diretta stessa sia nei giorni successivi sui siti e tramite social: molti si erano soffermati sul suo modo di vestire (indossava una maglia scollata e senza maniche) e sul fatto che stesse bevendo e avesse le gote rosse per l’alcool, tanto da commentare la diretta chiedendole di sospenderla subito. Sempre durante questa diretta, molti partecipanti le avevano poi rivolto domande sulla sua vita personale, di fronte alle quali Sulli aveva risposto dicendo di odiare il gaze-rape, espressione di recente coniazione che potremmo tradurre come lo “stupro dei guardoni” e che il Korea Times ha definito come quello “sguardo eccessivamente fisso che fa sentire le persone come violentate”[4].

In una delle puntate del suo show, Sulli aveva raccontato di essere anche arrivata a denunciare uno dei suoi hater online ed era rimasta incredula nello scoprire che l’autore dei commenti che aveva ricevuto aveva la sua stessa età e frequentava un’università prestigiosa. Questo ragazzo le aveva poi inviato una lettera di scuse, raccontandole di essere sotto forte stress e che non si sarebbe mai aspettato che i suoi commenti avrebbero poi portato a conseguenze così grandi; Sulli si era quindi dimostrata comprensiva e aveva ritirato le accuse nei suoi confronti. Il racconto della cantante si chiude però con l’amara considerazione per cui se in futuro si fosse ripresentata una situazione del genere, lei non avrebbe più lasciato correre[5]: come se le speranze che qualcosa potesse cambiare e che questa cattiveria nei suoi confronti potesse finire fossero andate ormai completamente perse. In una delle ultime dirette social prima del suicidio, infatti, Sulli si era rivolta direttamente agli autori degli attacchi online contro di lei chiedendosi: “Non sono una cattiva persona. Mi dispiace. Perché dite queste cattiverie su di me? Cosa ho fatto per meritarmi questo?”[6].

Il caso Goo Hara

Dopo la morte di Sulli, l’amica Goo Hara aveva raccontato tutto il suo dolore durante una diretta sui social e aveva promesso alla sua amica che avrebbe vissuto “ancora più diligentemente” ora che lei se ne era andata e si era poi rivolta direttamente ai suoi followers dicendo: “Cari fan, io starò bene. Non preoccupatevi per me”[7]. Dopo poco più di un mese dal suicidio di Sulli, tuttavia, anche Goo Hara, 28 anni, è stata trovata senza vita da una cameriera nella sua casa di Seoul il 24 novembre 2019 e la polizia ha trovato vicino al suo corpo un messaggio scritto a mano in cui la star esprimeva tutta la sua disperazione. L’ultimo suo post su Instagram la ritraeva distesa a letto con la didascalia “Dormi bene”[8].  Così come Sulli, anche Goo Hara, ex membro della band femminile di K-pop Kara e poi cantante solista, prima di togliersi la vita si era rivolta al popolo del web dal suo account Instagram chiedendosi: “Non c’è nessuno lì fuori con una mente bellissima che può abbracciare le persone che soffrono? Non è facile per chi fa questo mestiere; le nostre vite private sono sottoposte ai raggi X più di quelle di qualsiasi altra persona e non possiamo nemmeno parlare del nostro dolore con la famiglia e gli amici. Per favore, chiedete a voi stessi che tipo di persona siete prima di postare un commento cattivo online”[9].

Nel fare riferimento al proprio dolore e all’impossibilità di condividerlo, Goo Hara mette in luce uno dei problemi che affliggono la società sudcoreana e che è allo stesso tempo causa e conseguenza della diffusione del fenomeno del cyberbullismo nel Paese: parlare dei propri problemi mentali e psicologici e ammettere di soffrirne è un vero e proprio taboo in Corea del Sud e diventa addirittura un motivo di attacchi quando, come nel caso di Sulli e Goo Hara, si trova il coraggio di farlo apertamente. Intervistato dal Korea Times per commentare i suicidi sempre più numerosi tra le star del K-pop, lo psicologo sudcoreano Park Jong-suk aveva sottolineato come, nonostante il numero di pazienti ricoverati per trattare i proprio problemi mentali fosse triplicato rispetto a dieci anni prima, i pregiudizi legati alle malattie mentali sono ancora molti forti in Sud Corea, tanto che i sudcoreani arrivano addirittura ad opporsi alla costruzione di ospedali psichiatrici vicino ai quartieri dove vivono.[10] A sostegno di questa tesi, anche lo psichiatra Lee Je-wook ha dichiarato all’ABC News che “la Sud Corea è l’ultimo Paese al mondo per l’uso di antidepressivi. Qui c’è la tendenza a pensare che chiedere aiuto medico sia imbarazzante e appannaggio delle persone ‘pazze’”[11].  Come si evince dai commenti riportati sopra, Goo Hara soffriva di depressione ma aveva sempre avuto timore di parlarne apertamente per la paura che queste sue difficoltà divenissero un nuovo motivo di critiche e attacchi gratuiti; aveva cioè paura di subire lo stesso trattamento che era stato riservato all’amica Sulli che, sempre in controtendenza rispetto a ciò che si aspetterebbe da una celebrità in Sud Corea, aveva dichiarato apertamente di soffrire di attacchi di panico da quando era giovanissima ma che, proprio per questo motivo, molti intorno a lei l’avevano lasciata sola.

Accomunate dallo stesso destino di vittime di cyberbullismo, Goo Hara aveva subito moltissimi attacchi online da parte di troll e hates che commentavano come il suo viso fosse esclusivamente il frutto di interventi di chirurgia plastica; commenti che avevano costretto la cantante ad ammettere di essersi effettivamente sottoposta ad un intervento per correggere le palpebre cadenti. I commenti più pesanti si erano tuttavia diffusi in tutto il web dopo la rottura con il suo fidanzato quando, cioè, erano cominciate a circolare delle voci circa la presenza in rete di un video che ritraeva la coppia fare sesso. Critiche e commenti misogini nei confronti della cantante non si erano fatti attendere. Goo Hara aveva poi effettivamente denunciato il ragazzo accusandolo di averla minacciata di diffondere il video in rete facendo così della cantante una vittima di quello che oggi viene definito il revenge-porn. Dopo una prima indagine, il ragazzo era stato condannato ad un anno e mezzo di prigione per i reati di ricatto e coercizione ma la pena era poi stata sospesa dal tribunale e lui era tornato nuovamente libero. Il suicidio di Goo Hara ha contribuito a far sì che il caso venisse rivalutato e con una nuova sentenza la pena di reclusione a 18 mesi è stata riconfermata; è importante sottolineare, tuttavia, come il ragazzo sia stato dichiarato colpevole solamente per aver ricattato e minacciato la cantante di diffondere il video ma non del crimine di coercizione, poiché, secondo i giudici, non è possibile dimostrare che il video sia stato filmato senza il consenso della ragazza.

Sia Sulli che Goo Hara sono state chiaramente vittime del fenomeno dilagante del cyberbullismo in Corea del Sud, che in questo Paese affonda le proprie radici ben prima dell’avvento dei social media, come Facebook e Instagram, il cui effetto comunque è stato sicuramente quello di fornire un ulteriore canale di veicolazione d’odio e ingiurie. Molti dei commenti da parte di troll e hater sudcoreani vengono infatti pubblicati su portali di informazione e intrattenimento, tra cui i più famosi sono Daum e Naver: questi siti raccolgono informazioni, video on demand, opportunità per gli acquisti, blog e molto altro. Nel caso di Naver, ad esempio, parte del suo successo è dovuto alla creazione di gruppi online chiamati “caffè” in cui i netizen possono lasciare commenti su articoli e blog dietro lo schermo dell’anonimato. La maggior parte degli attacchi online, delle fake news, dei commenti ingiuriosi e violenti generati dal cyberbullismo vengono veicolati e diffusi proprio da questi portali. È per questo motivo che, dopo la morte di Sulli, Naver ha deciso di implementare l’uso dei bot per eliminare automaticamente i post contenenti linguaggio offensivo, pur mantenendo aperta la sezione dedicata ai commenti. Sezione che fu invece chiusa dall’altro portale, Daum, sotto gli articoli di intrattenimento. All’epoca dei fatti, l’amministratore delegato della società che gestisce Daum, Yeo Min-soo, aveva spiegato la decisione con queste parole: “Le sezioni dedicate ai commenti sono state pensate allo scopo di offrire uno spazio per un sano dibattito pubblico, ma ci sono stati degli effetti indesiderati. Il livello di diffamazione nei commenti online sotto le notizie di intrattenimento rende il dibattito pubblico non sano. Cercheremo di migliorare il supporto che la tecnologia può offrire per adottare politiche più severe nel combattere le espressioni di odio e diffamazione online”[12].

La morte di queste due star ha infatti messo in luce una delle grandi contraddizioni della Sud Corea che la rendono un terreno fertile allo sviluppo del fenomeno del cyberbullismo: uno dei Paesi, se non il Paese, più avanzato tecnologicamente dove più dei due terzi dei suoi abitanti si definiscono “netizen”, o utilizzatori abituali di internet, e l’85% utilizza i social media (superando addirittura del 5% la percentuale dei cittadini americani, secondo i dati forniti da DataReportal)  è anche quello che garantisce il minor grado di controllo su ciò che viene e può essere pubblicato in rete e conseguentemente un bassissimo grado di protezione a coloro che poi ne subiscono gli effetti in quanto vittime. I cyberbulli si nascondono infatti dietro l’anonimato e non sono obbligati ad utilizzare la propria vera identità quando agiscono e commentano sul web. L’atteggiamento morbido utilizzato dal governo nei confronti della piaga del cyberbullismo è anche esplicitato nelle parole del Presidente sudcoreano Moon Jae-in durante una conferenza stampa nel 2018. Un giornalista aveva chiesto al presidente di commentare l’atteggiamento dei sostenitori politici che avevano riempito di insulti la sezione dei commenti sotto alcuni suoi articoli che criticavano le politiche adottate dal governo; Moon aveva risposto così: “Sia che le persone abbiano la tua stessa opinione oppure no, penso che dovresti guardare ai loro commenti con calma, come espressione della loro opinione. Non penso che dovresti essere così sensibile a riguardo”[13]. Un atteggiamento permissivo che ha fatto sì che fino ad ora non siano state adottate misure efficaci per combattere questo fenomeno. Come avremo modo di approfondire meglio in un altro dossier, nel 2007 c’era stato il tentativo di regolamentare i comportamenti nella realtà virtuale introducendo una legge che obbligava i cittadini sudcoreani a confermare la propria identità prima di accedere ad internet, legge che era stata poi dichiarata incostituzionale per violazione della privacy poiché i siti internet potevano conservare dati sensibili dei cittadini nei loro database. È tuttavia evidente che sia arrivato il momento di assumere contromisure concrete per contrastare il fenomeno del cyberbullismo che contribuisce in larga parte a rendere la Corea del Sud la nazione con il più alto numero di suicidi tra i Paesi dell’OCSE. Tra le proposte più recenti vi è quella con cui i legislatori sudcoreani del Partito centrista Barreunimirae hanno elaborato un progetto di legge che avrebbe reso l’educazione sul cyberbullismo obbligatoria nelle scuole e nei luoghi di lavoro, perché sulla base delle consultazioni con i docenti delle scuole in tutto il Paese, diffondere una maggiore consapevolezza su questa realtà potrebbe essere l’arma migliore per contrastare il problema.

In chiusura, alla luce delle tragedie che abbiamo raccontato, è significativo sottolineare come il cyberbullismo in Corea del Sud non colpisca tutti allo stesso modo ma non è altro che la trasposizione nel mondo virtuale di quelle che sono le disuguaglianze e i pregiudizi che sono ancora molto radicati nel Paese: Sulli è stata vittima di odio in quanto donna, libera e anticonformista in una società conservatrice e maschilista, Goo Hara è stata condannata per i suoi comportamenti nella vita privata ancor prima che si scoprisse la verità dei fatti e per le sue debolezze psicologiche, poiché la donna viene crocifissa sempre prima dell’uomo e non si deve mai mostrare le proprie debolezze.

Note

[1] Choe Sang-Hun and Su-Hyun Lee, “Suicides by K-Pop Stars Prompt Soul-Searching in South Korea”, The New York Times, 25 novembre 2019

[2] Fortin Jacey, “Sulli, South Korean K-Pop Star and Actress, Is Found Dead”, The New York Times, 25 novembre 2019

[3] Snapes Laura, “Sulli, K-pop star and actor, found dead aged 25”, The Guardian, 14 ottobre 2019

[4] Dong Sun-hwa, “Sulli’s drinking party live streaming ignites controversy”, The Korea Times, 9 aprile 2019

[5] https://www.youtube.com/watch?v=Ju7wHmkayk0

[6] Korea Times and Lim Li Ying, “‘What did I do to deserve this?’: Instagram video reveals K-pop star Sulli’s final months of mental health struggle”, South China Morning Post, 16 ottobre 2019

[7] Choe Sang-Hun and Su-Hyun Lee, “Suicides by K-Pop Stars Prompt Soul-Searching in South Korea”, The New York Times, 25 novembre 2019

[8] Ibid.

[9] Ibid.

[10] Dong Sun-hwa, “[INTERVIEW] What caused deaths of Sulli, Ha-ra and other K-pop stars?”, The Korea Times, 29 novembre 2019

[11] Joohee Cho, “Deaths of Goo Hara and Sulli highlight tremendous pressures of K-pop stardom”, ABC News, 1 dicembre 2019

[12] Duerden John, “K-pop suicides reignite online abuse debate”, NIKKEI Asia, 20 dicembre 2019

[13] Rahn Kim, “Comments that Kill”, The Korea Times, 30 ottobre 2019

 

Fonti sui casi sudcoreani

Choe Sang-Hun and Su-Hyun Lee, “Suicides by K-Pop Stars Prompt Soul-Searching in South Korea”, The New York Times, 25 novembre 2019 

Dong Sun-hwa, “[INTERVIEW] What caused deaths of Sulli, Ha-ra and other K-pop stars?”, The Korea Times, 29 novembre 2019

Dong Sun-hwa, “Sulli’s drinking party live streaming ignites controversy”, The Korea Times, 9 aprile 2019

Duerden John, “K-pop suicides reignite online abuse debate”, NIKKEI Asia, 20 dicembre 2019

Fortin Jacey, “Sulli, South Korean K-Pop Star and Actress, Is Found Dead”, The New York Times, 25 novembre 2019

Glionna John M., “Cyber bullies reign in South Korea”, Los Angeles Times, 1 gennaio 2010

Joohee Cho, “Deaths of Goo Hara and Sulli highlight tremendous pressures of K-pop stardom”, ABC News, 1 dicembre 2019

Kim Bo-eun, “Singer Goo Hara found dead”, The Korea Times, 24 novembre 2019

Kim Dae-o, “I have reported on 30 Korean celebrity suicides. The blame game never changes”, The Guardian, 4 gennaio 2020

Korea Times and Lim Li Ying, “‘What did I do to deserve this?’: Instagram video reveals K-pop star Sulli’s final months of mental health struggle”, South China Morning Post, 16 ottobre 2019

Lee Gyu-lee, “Fans, celebrities reeling from Goo Ha-ra’s death”, The Korea Times, 25 novembre 2019

Lee Gyu-lee, “K-pop star Goo Ha-ra’s ex-boyfriend jailed for sex video blackmail”, The Korea Times, 3 luglio 2020

Lim Jason, “Sulli’s Law”, The Korea Times, 25 ottobre 2019

McCurry Justin, “K-pop singer Goo Hara found dead aged 28”, The Guardian, 24 novembre 2019

Nam Ji-eun, “Cyberbullying and serial celebrity suicides”, Hankyoreh, 26 novembre 2019

Negri Lorenza, “Il fenomeno dei suicidi delle K-pop star, tra hater e depressione”, Wired, 29 settembre 2020

Rahn Kim, “Comments that Kill”, The Korea Times, 30 ottobre 2019

Snapes Laura, “Sulli, K-pop star and actor, found dead aged 25”, The Guardian, 14 ottobre 2019

“È morta la cantante sudcoreana Sulli: aveva 25 anni”, Il Post, 14 ottobre 2019

“South Korea set to introduce cyberbullying laws after K-pop deaths”, The National, 1 dicembre 2019

Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=Ju7wHmkayk0

 

(Featured image source: Flickr Alan Levine)