La Cina e la questione uigura: intervista a Giulia Sciorati
La minoranza uigura è una delle questioni più scomode per la Cina.
Gli Uiguri vivono nello Xinjiang – una regione autonoma della Cina nordoccidentale tra le più grandi del Paese.
In riferimento agli uiguri spesso si parla di oppressione e genocidio anche se il governo cinese ha sempre negato queste accuse sostenendo che le sue attività nella regione rientrano nella lotta contro il terrorismo.
Recentemente, però, sono sempre di più le notizie che filtrano dallo Xinjiang e la “questione uigura” è sotto i riflettori internazionali.
Ne abbiamo parlato con Giulia Sciorati, Associate Research Fellow presso Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) – Osservatorio Asia, Programma Cina.
1) Chi sono gli Uiguri e quando è nata la questione uigura?
Gli uiguri sono uno dei 56 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti dalla Repubblica popolare cinese. Contrariamente ad altre minoranze, quella uigura è tra le più diverse dalla maggioranza etnica han a partire dai tratti antropometrici del gruppo più simili a quelli delle popolazioni dell’Asia Centrale, così come le tradizioni culturali, la religione (Islam sunnita) e la lingua turcofona. È difficile identificare un vero e proprio punto di partenza per la “questione uigura”. Sicuramente la sua fase moderna si rifà al crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 e alla conseguente formazione degli stati indipendenti dell’Asia Centrale che hanno risvegliato sentimenti secessionisti nello Xinjiang, la regione cinese in cui gli uiguri sono maggiormente presenti.
2) A fine del 2019, grazie a una fuga di documenti arrivati all’ICIJ, si sono scoperti i “campi di rieducazione” in Cina per gli Uiguri. Perché esiste questo sistema di prigionia e come funziona?
Ci sono ancora moltissime domande senza risposta riguardo i “campi di rieducazione”. La denominazione ufficiale è quella di “Centri per l’educazione e la formazione professionale”, ma il loro scopo reale sembra essere diverso: pensiamo solo, per esempio, che molti di coloro che sono stati trasferiti in questi centri fossero già in possesso di diplomi o lauree oppure avessero una professione ben avviata e, di conseguenza, non avessero un’immediata necessità per formarsi professionalmente. I racconti dei “diplomati” che hanno lasciato i centri dipingono l’immagine di un sistema di detenzione extra-giudiziale a cui sembrerebbe accedersi attraverso le segnalazioni del permeante sistema di sorveglianza attivo in tutto lo Xinjiang.
3) Nelle scorse settimane ha fatto scalpore la notizia del controllo delle nascite della minoranza uigura tanto che il Parlamento Europeo ha parlato di “genocidio”. Ce ne puoi parlare meglio?
La notizia emerge da uno studio pubblicato da Adrian Zenz, un antropologo tedesco negli Stati Uniti e una delle voci internazionali più attive sulla minoranza uigura. Zenz identifica un massiccio utilizzo di metodi contraccettivi e numero di aborti eseguiti sulle donne uigure negli ultimi anni che ha di fatto diminuito la portata riproduttiva della minoranza. Tali pratiche, se forzate, sarebbero in netta violazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio delle Nazioni Unite poiché avrebbero la capacità potenziale di arrivare ad annientare il gruppo etnico. Non è la prima volta che viene nominato il termine “genocidio” in associazione agli uiguri. Diversi studiosi, tra cui Rachel Harris della School of Oriental and African Studies di Londra, avevano infatti già parlato di “genocidio culturale” a causa di alcune policy attuate dalle autorità centrali in Xinjiang che mettevano a rischio la sopravvivenza delle stesse tradizioni uigure. Un esempio è la messa al bando del meshrep, un tradizionale raduno comunitario.
4) Quali pensi che possano essere i prossimi passi del governo cinese verso lo Xinjiang e questa minoranza?
Difficile prevedere quali possano essere le scelte delle autorità centrali a breve termine. Credo che sarà mantenuto un forte controllo e una militarizzazione diffusa in Xinjiang per evitare instabilità locali che potrebbero diffondersi al resto del paese, soprattutto ora che la regione è diventata uno snodo importantissimo per la rotta terrestre della Nuova Via della Seta.
5) Alcuni studiosi e giornalisti hanno affermato che le tensioni etniche potranno segnare la fine dell’ascesa pacifica della Cina. Pensi che le minoranze saranno uno degli elementi che potrà mettere in crisi la potenza cinese?
La questione della gestione dell’instabilità, più che delle minoranze, rimane un’arma a doppio taglio per l’engagement internazionale cinese. Hong Kong, per esempio, si è già dimostrato un fattore destabilizzante per il paese che si trova a dover ricostruire la propria reputazione dopo l’entrata in vigore della legge sulla sicurezza nazionale, ora al vaglio della comunità internazionale poiché potenzialmente incompatibile con le norme di diritto internazionale. Sebbene la Cina si sia tradizionalmente radicata in una strategia internazionale legata a un forte elemento reputazionale – l’ “ascesa pacifica”, il “win-win”, la “potenza responsabile” – gli ultimi scambi diplomatici, più accesi della norma, mostrano un paese diverso e pongono interrogativi riguardo la volontà della Cina di continuare a prioritizzare la propria reputazione anche nel futuro.
(Featured Image Source: Wikimedia)