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Giappone: la dipendenza alimentare dalla Cina e dal mondo

Federica Galvani

“Siamo diventati dipendenti dalla Cina” ha dichiarato alla stampa a maggio il Ministro dell’economia giapponese Yasutoshi Nishimura mentre affrontava il tema delle filiere produttive nipponiche.
La pandemia da COVID-19 e il conseguente blocco della produzione delle aziende cinesi nel mese di febbraio hanno mostrato la forte dipendenza delle aziende nipponiche dalla Cina.
Il governo ha reagito decidendo di aiutare le aziende giapponesi a spostare la produzione fuori dalla Cina destinando 243.5 bilioni di Yen (circa 2 miliardi di euro) a quelle che riporteranno almeno una parte di attività in Giappone e a quelle che trasferiranno le produzioni in Paesi terzi.
Questa manovra riguarda il settore manifatturiero e quello di prodotti ad alto valore aggiunto.
Si inserisce in uno dei due pacchetti di stimolo all’economia di 117 trilioni di yen (oltre 900 miliardi di euro) varati dal governo giapponese tra aprile e maggio.

In questi pacchetti, però, è stato quasi completamente ignorato un settore importante in cui il Giappone è da anni fortemente dipendente dalla Cina e da altri Paesi stranieri. Si tratta del settore dell’agricoltura.
Il Giappone è tra i Paesi sviluppati quello che ha la minor autosufficienza alimentare, dovendo importare più del 60% del cibo necessario per sfamare la sua popolazione.
I Paesi dell’ASEAN, la Cina, gli Stati Uniti e i Paesi dell’Unione Europea sono quelli da cui il Giappone importa la maggior quantità di prodotti alimentari.
La Cina è il principale fornitore di verdure sia fresche sia congelate dal 1991. Il sistema alimentare giapponese non può essere garantito senza le importazioni cinesi, soprattutto in questo settore.

Il 31 marzo Tedros Adhanom Ghebreyesus, Qu Dongyu e Roberto Azevedo – direttori generali di WHO, FAO e WTO – hanno dichiarato che l’incertezza della disponibilità di cibo potrebbe scatenare un’ondata di restrizioni alle esportazioni e creare una scarsità alimentare a livello globale.
Il rischio per il Giappone di essere colpito da una insufficienza di cibo durante la pandemia da COVID-19 è basso ma la questione resta un problema.

La produzione alimentare interna è drasticamente diminuita passando dal 73% del 1965 al 37% di oggi (dati del Ministero giapponese dell’Agricoltura, Selvicoltura e Pesca). Si calcola che attualmente il Giappone riesca a fornire circa 2.000 Kcal giornaliere per ciascun cittadino, poco più di quello che forniva negli anni ’40 e ’50.
I motivi di questo declino sono legati sia alla crisi del settore agricolo sia al cambiamento della dieta e delle abitudini alimentari dei giovani giapponesi. I giovani mangiano sempre più carne e derivati animali, che la produzione locale da sola non è in grado di soddisfare. Se negli anni ’40 il consumo di carne in Giappone era praticamente nullo (meno di 3 grammi al giorno) oggi, soprattutto a causa dell’influenza della dieta Occidentale, la porzione giornaliera media di carne è salita a più di 130 grammi e la fonte di proteine favorita è la carne di maiale.
L’agricoltura è caratterizzata da coltivazioni su piccola scala e dalla presenza di lavoratori anziani (nel 2010 l’età media degli agricoltori era di 70 anni). Tutto ciò ha reso il Giappone fortemente dipendente dalle importazioni di cibo.
Il settore agro-alimentare, in crisi da decenni, è uscito ancora più danneggiato dalla pandemia. L’industria agricola e alimentare del Giappone stanno affrontando un grave calo sia della domanda che della disponibilità di manodopera straniera a causa del coronavirus.

Negli ultimi anni il governo, con la campagna Food Action Nippon, ha lanciato una serie di iniziative per sensibilizzare e modificare le abitudini alimentari della popolazione, attraverso la promozione di una dieta più sana ed equilibrata e dell’utilizzo di prodotti nazionali. Queste iniziative, però, non sono state ancora affiancate da riforme per potenziare e rilanciare il sistema agricolo al fine di garantire un’autosufficienza alimentare.
Come affermano molti studiosi tra cui, Yamashita Kazuhito (direttore di ricerca specializzato sulle politiche agricole al Canon Institute for Global Studies), è necessaria una riforma del sistema agricolo. Solo una agricoltura innovativa, guidata dalla domanda e che porta profitto agli agricoltori può fermarne il suo declino.

 

(Featured Image Source: Pixabay)