I movimenti femminili in Giappone dagli anni 2000 in poi

I movimenti femminili in Giappone dagli anni 2000 in poi

Chiara Galvani

 

Nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli strutturali insiti nella società giapponese, negli ultimi anni le donne stanno iniziando ad essere sempre più consapevoli dell’importanza del loro ruolo all’interno del processo di sviluppo avviato in Giappone.
Le donne hanno, infatti, avviato diverse iniziative con lo scopo di affermare un ruolo determinante all’interno della società, della politica e del lavoro.

A livello politico, le donne che militano nei diversi partiti hanno iniziato a denunciare apertamente la mancanza di figure femminili nei ruoli chiave dell’agenda di governo.
Yuriko Koike, attuale governatore di Tokyo, nel 2014 in occasione della visita di Annise Parker (imprenditrice e politica statunitense), affermò che in Giappone è estremamente difficile per le donne acquisire posizioni di rilievo nel mondo della politica. Questa assenza è dovuta soprattutto al fatto che: “La maggior parte delle persone pensa che la politica sia per gli uomini. Inoltre, non è così facile gareggiare alle elezioni, dato che è molto costoso e ci sono molte sfide da affrontare”. Nella stessa occasione Karen Makishima, membro della Camera dei Rappresentanti, ha incitato tutte le donne a cambiare la situazione attuale, visto il buon livello educativo di cui moltissime di loro godono.

Se procediamo a ritroso, nel 1999 nasce il movimento 「女性と政治」 (Jyosei to Seiji, Donne e politica). Questo movimento è stato creato da una delegazione di donne giapponesi che parteciparono ad una conferenza internazionale a Manila incentrata sulle modalità da metter in atto per aumentare il numero di politiche donne a livello internazionale. Dal 2011 il progetto è diventato anche online: hanno aperto un sito internet in cui promuovono le campagne che organizzano ogni anno.

L’obiettivo del movimento è aumentare il numero di donne che partecipano alla vita politica giapponese, sensibilizzando i media, parlando alla popolazione con incontri e manifestazioni in strada e attraverso i social network.
Su Twitter, per esempio, sono molto attive. Diverse politiche giapponesi, attraverso questa rete sociale, sponsorizzano e sostengono gli eventi dell’associazione.

Le donne sono sempre più consapevoli del fatto che devono avere maggior rappresentanza politica se vogliono cambiare la società e renderla più favorevole alle donne lavoratrici ed emancipate. Lo slogan che promuovono è: いのち・くらし・こころ豊かな市民政治を (Per un governo popolare pieno di vita e cuore), perché solo un governo che pensa alle donne potrà creare una società più egualitaria e giusta.

Anche a livello sociale le cose stanno cambiando.
Sempre più persone sono consapevoli del fatto che le donne debbano ricoprire un ruolo più attivo nella società e che i loro interessi debbano essere rappresentati e presi in considerazione perché questo potrebbe giovare al benessere ed allo sviluppo economico e socio-culturale dell’intero Giappone.
Un esempio su tutti è il problema della bassa natalità che potrebbe essere migliorato attraverso una maggior partecipazione femminile nel mondo del lavoro.
Più che mai nell’ultimo decennio, infatti, il governo giapponese cerca di porre freno a tassi di natalità negativi e ad un invecchiamento della popolazione sempre più veloce. Secondo i dati citati dall’ Economist, nel 2013 la popolazione giapponese si è ridotta di oltre 244 mila individui, un record dal 2004, quando le statistiche demografiche hanno iniziato ad avere il segno negativo. Nel 2060 potrebbe esserci un quarto di giapponesi in meno sul suolo dell’arcipelago, il 40% dei quali oltre i sessant’anni. Per cambiare questa tendenza il ruolo delle donne potrebbe essere decisivo. Nelle aziende, ad esempio, il 60% delle lavoratrici abbandona il lavoro dopo il primo figlio per mancanza di servizi o per l’impossibilità di passare a contratti part-time.
A tal proposito, Kathy Matsui, analista di Goldman Sachs a Tokyo e supporter della cosiddetta “womenomics”, ha dichiarato: “è stato dimostrato che una maggiore partecipazione delle donne nella forza lavoro produce tassi più alti di natalità”. 

Per dar maggior risalto all’importanza delle donne all’interno di una società democratica, nel 2013 il governo ha lanciato l’iniziativa “a society in which women shine”.
Negli slogan il governo del Giappone dichiara di volersi impegnare a coltivare il valore delle donne come potenziale per la crescita dell’economia e come ideale da diffondere a livello internazionale. Il Ministry of Foreign Affairs of Japan (MOFA), infatti, si impegna molto per la creazione di una società più “women friendly” anche nei Paesi in via di sviluppo (Africa, Bangladesh, …). Una società in cui “le donne possono brillare” porterà forza e vigore al mondo intero.
La politica del premier Abe a favore delle donne doveva portare un’ondata di innovazione. Questi slogan, però, non si sono tradotti in azioni concrete ed alcuni critici affermano che siano stati utilizzati principalmente per acquisire il sostegno popolare perso con l’aumento della tassa sui consumi e con l’approvazione di una nuova interpretazione dell’articolo 9, secondo i sondaggi non condivisa da più di metà della popolazione.
A livello aziendale, per esempio, la “Womenomics” prevedeva che le aziende con più di 300 impiegati si ponessero degli obiettivi per aumentare il numero di donne in posizioni rilevanti e pubblicassero i risultati ottenuti. Tuttavia, non erano previste delle pene per le aziende che non avessero rispettato le disposizioni.
Lo stesso governo Abe del 2017 ha solo 2 ministri donne [1].

Le donne giapponesi, seppur timidamente, però non si danno per vinte.
Alcuni uomini, inoltre, hanno iniziato a supportare la causa femminile pubblicamente.
Nel 2014, la campagna dell’ONU #HeforShe (con testimonial Emma Watson) ha preso piede anche in Giappone, dove è stato organizzato un evento a cui ha partecipato anche Haruhiko Kuroda, il governatore delle Banca centrale giapponese. Nel suo discorso ha sottolineato le differenze di genere nell’ambito lavorativo e l’importanza delle donne nel mondo del lavoro. Il governatore ha anche parlato dei problemi che devono essere risolti, come quello delle politiche poco flessibili sulla maternità.

In occasione della campagna #HeforShe si è espresso anche il sindaco del Bunkyō City di Tokyo Hironobu Narisawa, sostenitore dell’uguaglianza dei diritti dei padri.

“When I took paternity leave – which was the first case amongst the heads of local governments in all of Japan – someone criticized me for being effeminate because I was doing the childcare. I am produ of having been referred that way back then. For the majority of Japanese men, it was not a matter of being unable to do it, but of simply not doing it all the time. They can do it now. He for She and She for He are bilateral”. [2]

Nel 2010 è stato il primo leader del governo locale ad usufruire del congedo per paternità. Narisawa ha dichiarato il suo impegno affinché i padri siano maggiormente partecipi nell’educazione dei figli e che siano più coinvolti nella loro crescita.

Nel 2019 è nato il movimento #Kutoo (il nome prende spunto dalle parole giapponesi kutsu “scarpa” e kutsū “dolore” e dal famoso movimento #Metoo), che manifesta contro l’obbligo delle donne di indossare tacchi sul posto di lavoro.
Il movimento è stato avviato da Yumi Ishikawa, attrice, modella e scrittrice che ha lanciato l’hashtag sui social ottenendo sin da subito molto sostegno.
A giugno 2019 ha sottoposto al ministro del lavoro la petizione online a supporto di una legge che proibisca ai datori di lavoro la possibilità di obbligare le dipendenti donne a indossare scarpe con il tacco (firmata da 18 mila persone).
A marzo 2020 il movimento ha ottenuto la sua prima vittoria: le hostess della Japan airlines non sono più obbligate ad indossare gonna e tacchi alti.

Negli ultimi anni stanno anche aumentando i casi di donne famose che denunciano discriminazioni e abusi.
Nel 2015 la reporter Shiori Ito ha denunciato un celebre collega per averla drogata e violentata; è stata una delle prime donne a denunciare e a parlare pubblicamente di violenza sessuale ed è diventata una vera e propria icona femminile. In Giappone, infatti, sembra che solo il 4% delle donne che hanno subito abusi sessuali denunci. Nel 2019, dopo quasi 4 anni di processo, Shiori Ito ha vinto la causa.

Nel 2018 protagonista di tutte le testate giornalistiche è stato lo scandalo di una famosa università di medicina di Tokyo che ha ammesso di modificare i risultati degli esami di ammissione per evitare che tante donne si iscrivessero. L’università, infatti, preferiva avere meno donne tra gli iscritti in quanto le loro carriere sarebbero state interrotte dalla maternità.
Questa notizia è stata riportata in molti media internazionali e ha fatto diffondere l’hashtag #私たちは女性差別に怒っていい (ci va bene essere arrabbiate per la discriminazione femminile). Tantissime donne hanno iniziato a condividere le loro storie su Twitter, raccontando le discriminazioni subite sui posti di lavoro.

Porre l’attenzione sulla discriminazione e altri problemi sociali è il primo passo per affrontarli e risolverli. Continuando a far sentire la propria voce le donne giapponesi potranno rendere il Giappone un Paese più sicuro e con maggior parità di genere.
Ad oggi sono stati piantati vari semi. E’ fondamentale continuare a prendersene cura per vedere dei risultati concreti.

 

Note

[1] https://www.bbc.com/news/world-asia-42993519

[2] UN Women Twitter: https://twitter.com/UN_Women/status/474811760726528000/photo/1

 

(Featured Image Source: UN Women Facebok)