Rassegna settimanale 12 – 18 novembre 2018: Sudest asiatico
12 novembre, Vietnam – Il Vietnam ratifica il patto sul commercio del Pacifico
Il Vietnam è il settimo paese a ratificare il patto sul commercio del Pacifico che avrà effetto dalla fine di quest’anno.
Undici paesi hanno rilanciato una versione della Trans-Pacific Partnership senza la partecipazione di Washington, nonostante il precedente presidente Barack Obama avesse in passato capeggiato gli accordi per contrastare la crescente economia cinese.
L’accordo vincola i membri ad un più severo quadro giuridico per il commercio, a tariffe più basse e a mercati aperti. Inoltre, verranno introdotte nuove norme sul lavoro – un punto cruciale per il Vietnam comunista, dove tutti i sindacati sono controllati dal partito.
“Questa è una decisione politica importante che afferma il ruolo attivo del nostro paese nella integrazione regionale”, ha dichiarato il capo delle relazioni estere dell’Assemblea Nazionale vietnamita.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/vietnam-ratifies-pacific-trade-pact
13 novembre, Birmania – Suu Kyi spogliata del più alto riconoscimento di Amnesty International
Gli osservatori di Amnesty International hanno revocato l’alto riconoscimento dato nel 2009 alla leader birmana Aung San Suu Kyi, per il “vergognoso tradimento” dei valori che incarnava.
Amnesty ha puntato il dito sull’apparente indifferenza riguardante le atrocità compiute dall’esercito birmano nei confronti dei Rohingya e della “crescente intolleranza” nei riguardi della libertà di espressione.
“Come Ambasciatrice di Coscienza di Amnesty International, le nostre aspettative erano che continuassi ad usare la tua autorità morale per esprimerti sulle ingiustizie ovunque le vedessi, non meno importanti all’interno della Birmania stessa”, ha scritto Kumi Naidoo a Suu Kyi. Il segretario generale di Amnesty International ha aggiunto: “Oggi, siamo profondamente costernati che non rappresenti più un simbolo di speranza, coraggio e d’eterna difesa dei diritti umani … Amnesty International non può continuare a giustificare il tuo status di beneficiaria del premio di Ambasciatrice di Coscienza e quindi con grande tristezza, ufficialmente esso viene revocato … continueremo a combattere per la giustizia ed i diritti umani in Birmania – con o senza il suo supporto”.
Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/11/suu-kyi-stripped-of-amnestys-highest-award/
14 novembre, Malesia – Il governo malese approva l’abolizione della pena di morte
Il governo malese ha approvato l’abolizione della pena di morte, seppur devono ancora avvenire revisioni in materia.
Il ministro della giustizia Liew Vui Keong ha dichiarato ai giornalisti che la decisione è stata raggiunta collettivamente dal governo e se verrà approvata dal parlamento, la punizione capitale verrà sostituita da un minimo di trent’anni di carcere.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/malaysia-cabinet-agrees-to-scrap-death-penalty
15 novembre, Birmania – Detenuti in Birmania 106 sospetti Rohingya musulmani a bordo di una nave
Le autorità dell’ufficio immigrazione birmano hanno detenuto oltre cento sospetti Rohingya musulmani a bordo di una nave a trenta chilometri da Yangon.
“Come negli scorsi anni, è possibile che essi siano Bengali provenienti dallo stato di Rakhine”, ha dichiarato un funzionario dell’ufficio immigrazione.
Molti in Birmania, paese a maggioranza buddista, definiscono i Rohingya “Bengali” sottintendendo che essi siano immigrati illegali provenienti dal Bangladesh. La Birmania non ha mai riconosciuto i Rohingya come gruppo etnico.
Per molti anni, essi si sono imbarcati con i trafficanti nel tentativo di fuggire dal paese, affrontando viaggi pericolosi per raggiungere la Malesia e la Thailandia. Quest’ultima ha intrapreso misure restrittive dal 2015, avendo scoperto fosse comuni dove i trafficanti abbandonavano i migranti lasciando le navi alla deriva del mare di Andaman.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/myanmar-holds-106-suspected-rohingya-muslims-aboard-boat
16 novembre, Cambogia – Leader dei Khmer Rouge giudicati colpevoli di genocidio
Sono due i più alti leader dei Khmer Rouge ad essere ancora in vita. Oggi, a quarant’anni dalla caduta del brutale regime comunista di Pol Pot, sono stati giudicati colpevoli di genocidio.
Nuon Chea, novantadue anni, era il secondo in comando di Pol Pot, Khieu Samphan, ottantasettenne, ha prestato servizio come capo di stato; entrambi sono stati condannati all’ergastolo per crimini contro l’umanità e genocidio.
Come figure di spicco del regime Khmer, la corte li ha dichiarati responsabili delle uccisioni, sterminio, schiavitù, deportazione, detenzione, tortura, persecuzione religiosa, persecuzione raziale e politica, sparizioni forzate e stupri di massa.
David Scheffer, in passato esperto speciale del segretariato generale delle Nazioni Unite per il processo dei Khmer Rouge, ha descritto il verdetto come “molto significativo”. “Comparabile, in Cambogia, al giudizio di Norimberga dopo la Seconda Guerra Mondiale”.
“È stato un regime diabolico ed è stato il peggior esempio di cosa un governo può fare”, ha dichiarato il prosecutore Nicholas Koumjian. Aggiungendo: “penso che questo verdetto è davvero opportuno e davvero necessario. Il fatto che questi crimini sono avvenuti quarant’anni fa, in nessun modo diminuisce l’impatto di questo verdetto per coloro che sono stati colpiti dai crimini, persone i quali genitori sono stati torturati e uccisi”.
Si stima che nel 1979, anno in cui il regime è stato deposto dai dissidenti cambogiani e le truppe vietnamite, il 25% della popolazione fosse morta.
Ad oggi nel paese molte figure governative, tra cui il Primo Ministro Hun Sen, hanno prestato servizio tra le fila dei Khmer Rouge.
Fonte: The Guardian
Link: https://www.theguardian.com/world/2018/nov/16/khmer-rouge-leaders-genocide-charges-verdict-cambodia
17 novembre, Cina, Birmania, Laos, Thailandia, Cambogia, Vietnam – Diverbio con la Cina sul Bacino Mekong
I paesi che si affacciano sul Bacino Mekong, in particolare quelli situati nella parte più bassa del fiume – il settimo più lungo dell’Asia – hanno bisogno di trovare una strategia collettiva per garantirsi un futuro, considerando i vari cambiamenti geopolitici del periodo e che la Cina controlla già la parte a monte.
Il fiume parte dal Tibet scorrendo in Cina, Birmania, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam, ma solo una piccola parte è regolata da accordi e organizzazioni internazionali.
Mentre aumenta lo sfruttamento da parte dei sei paesi del bacino, le procedure per assicurare una propria gestione dell’ambiente e l’equa ripartizione delle risorse rimangono non chiare. Inoltre, le costruzioni idroelettriche in Cina e in Laos hanno causato gravi impatti ai paesi a valle del fiume.
Nel 1955 Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam hanno firmato un accordo che stabiliva le norme di utilizzo del fiume, istituendo inoltre la Mekong River Commission (MRC) per coordinare e rafforzare il patto. La MRC, nella realtà dei fatti, fatica a superare gli interessi nazionali dei paesi appartenenti ed ora i membri affrontano l’ardua sfida avendo la Cina sponsorizzato la creazione della Lancang-Mekong Cooperation (LMC), che include tutti i sei paesi del bacino in un unico assetto.
La giurisdizione della MRC e della LMC risulta differente e con alcune aree in sovrapposizione, inoltre a causa dei meccanismi di quest’ultima, si prevede che essa possa eclissare la MRC nel prossimo futuro, avendo Pechino il potere di forgiare accordi bilaterali direttamente con i paesi a valle del fiume.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/the-tussle-with-china-in-the-mekong-basin
18 novembre, Birmania – Rimpatrio Rohingya: piani posticipati al 2019
I piani di rimpatrio e ricollocazione dei rifugiati Rohingya dal Bangladesh alla Birmania, sono posticipati al prossimo anno.
Sono oltre 720,000 i Rohingya fuggiti dalla repressione dell’esercito bimano nello stato di Rakhine; i rifugiati hanno dichiarato di aver assistito a stupri di gruppo, uccisioni di famiglie intere e incendi dei propri villaggi. Gli investigatori delle Nazioni Unite hanno accusato il paese di “intento genocida” e pulizia etnica a danno della minoranza musulmana.
L’accordo tra Birmania e Bangladesh, preso in ottobre, per il rimpatrio di centinaia di migliaia di persone, sarebbe dovuto iniziare il 15 novembre, ma le operazioni sono state interrotte a causa dei timori per le sorti dei Rohingya una volta tornati nel paese natio.
Fonte: The Straits Times
Featured Image Source: Flickr.org