Rassegna stampa 3-9 settembre: Sudest asiatico
3 settembre, Malesia – Mahathir rispetterà la sua promessa di dimissioni tra due anni
Il premier malese Mahathir Mohamad ha ripetuto la propria promessa di dimettersi tra due anni a favore di Anwar Ibrahim, ex nemico politico del premier e attuale alleato. Rispondendo ad una domanda di un giornalista ha dichiarato di essere “fiducioso che (Anwar) sia più maturo e con più esperienza”. Il giornalista aveva espresso la propria preoccupazione su un possibile ripetersi della storia: nel 1998, Mahathir già alla guida del paese, aveva licenziato il vice primo ministro Anwar.
Nelle scorse settimane si vociferava che Mahathir avrebbe deciso di non rispettare la propria promessa di rimanere al potere fino alla fine del mandato. Anwar dal suo canto deve ancora riprendere una vera a propria attività politica: anche se Anwar è a capo di uno dei quattro partiti della coalizione di governo, non è un membro del parlamento. L’uomo dovrebbe infatti entrare in parlamento prima di essere nominato primo ministro.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/pm-mahathir-says-he-will-honour-agreement-to-hand-power-to-anwar-after-two-years
4 settembre, Birmania – Condannati a 7 anni di carcere i due giornalisti della Reuters
La sentenza dei due giornalisti della Reuters Wa Lone e Kyaw Soe Oo è stata la messa a morte della libertà di stampa in Birmania e, secondo alcuni esperti, potrebbe segnare l’inizio della fine per la giovane democrazia.
“Questo è molto deludente non solo per gli accusati ma per tutti noi, avvocati, stampa, l’intero paese” ha spiegato l’avvocato Khin Maung Zaw ai giornalisti fuori dall’aula dopo la sentenza della corte. “E’ una cattiva notizia per la Birmania, la democrazia, lo stato di diritto, la libertà di stampa e libertà di espressione”
Il verdetto è stato criticato dai difensori dei diritti e ha lasciato i giornalisti impauriti dal dover affrontare gravi conseguenze semplicemente per aver svolto il proprio lavoro.
Il duo era stato arrestato a dicembre per aver, secondo l’accusa, violato l’ “Official Secrets Act”, risalente all’epoca coloniale. I due uomini sono stati trovati in possesso di documenti militari classificati. La difesa ha spiegato che i giornalisti sono stati incastrati dalla polizia: un poliziotto avrebbe dato ai due uomini dei documenti sensibili pochi minuti prima dell’arresto.
Nei mesi precedenti al loro arresto i due giornalisti stavano lavorando su un report a proposito dei brutali omicidi da parte dell’esercito, di 10 uomini e ragazzi Rohingya. Da allora i militari hanno riconosciuto le loro colpe in questo caso specifico e condannato i soldati.
Una “mazzata” per la libertà di stampa
La loro sentenza è stata una “mazzata” per la libertà di stampa in Birmania ha dichiarato Phil Robertson, vicedirettore di Human Rights Watch per l’Asia. La severità delle sentenze è particolarmente preoccupante data la situazione già disperata sul tema dei diritti umani e la necessità assoluta di giornalisti indipendenti di far luce su questi eventi, ha spiegato Robertson.
“Il verdetto è diretto verso i due giornalisti così come tutta la galassia di giornalisti birmani che stanno provando a ritenere il governo ed i militari responsabili delle proprie azioni”, “questo è un importante passo indietro per la libertà di stampa”.
Le speranze che il neoeletto governo civile guidato da Aung San Suu Kyi possa migliorare la situazione sono state totalmente abbandonate. Dopo decenni di governo militare, la National League for Democracy (NLD) è stata eletta nel 2015 con la promessa di restaurare lo stato di diritto e combattere la corruzione all’interno del paese.
In passato, la vincitrice del premio Nobel per la pace ha difeso la libertà di espressione e la sua importanza in una democrazia. Col crescere dello scandalo Rohingya e della pressione internazionale, la leader del paese si è rifugiata nelle accuse di cattivo giornalismo e ha rigettato la colpa sui “terroristi” per “un immenso iceberg di disinformazione”.
Suu Kyi ha anche personalmente condannato i giornalisti Wa Lone e Kyaw Soe Oo. Il suo ex amico e confidante, il diplomatico americano Bill Richardson, ha riportato che si sarebbe riferita ai due giornalisti come dei “traditori”.
Secondo il politologo Yan Myo Thein, la libertà di espressione ha raggiunto un nuovo picco negativo dopo questo evento. “Le tensioni tra governo e militari, e i media potrebbero essere aumentate precipitamene e questo indicherebbe che il paese è sprofondato in una situazione peggiore del passato anche se l’attuale governo è stato eletto tramite delle elezioni giuste e libere”.
Le implicazioni
Il peggioramento della libertà di stampa potrebbe essere una delle tante conseguenze dopo il verdetto e potrebbero decidere le sorti della democrazia birmana. “La Birmania è stata a lungo una nazione governata con un pugno di ferro. Nel sottoporsi ad una transizione democratica il paese si sta muovendo verso la formazione di uno stato di diritto” ha spiegato Yan. “Tuttavia, facendo dei giornalisti dei criminali, e del giornalismo un crimine, il paese non andrà avanti ed il cambiamento non andrà nelle direzione giusta”.
L’unico modo per cambiare il corso degli eventi sarebbe tramite una spinta decisa e coordinata dei media, delle Nazioni Unite, governi e ONG per chiedere al paese di annullare le condanne e rilasciare Wa Lone e Kyaw Soe Oo ha dichiarato Robertson, chiamando in causa il consiglio per i diritti umani dell’ONU, il segretario generale e i membri del consiglio di sicurezza.
Litania di abusi
Questa è la terza grave violazione contro i diritti umani in Birmania in una sola settimana. Lo scorso lunedì le Nazioni Unite hanno rilasciato un documento che accusa i militari del paese di genocidio. Un giorno dopo, un secondo report di Fortify Rights ha portato le prove che crimini di guerra sono in corso negli stati del Kachin e Shan.
Vi era qualche speranza che la pressione internazionale potesse spingere il governo verso un rilascio dei giornalisti, ma non è stato così. Secondo Robertson la corte è di fatto sotto il controllo dell’esercito “Una volta che è diventato evidente che condannare i giornalisti era una priorità sia del governo che dei militari, era giusto una questione di tempo prima che fosse emessa una lunga sentenza di prigione”.
La paura dei giornalisti
Nel frattempo, la stampa birmana è sotto shock dopo che due dei suoi esponenti sono stati spediti in prigione per aver semplicemente fatto il proprio lavoro. All’interno della comunità il messaggio lanciato dai militari è stato ricevuto. “Non sono sicuro di poter parlare di questi sensibili sui militari o sul governo” ha spiegato un giornalista locale Naw Betty Han. “Con questo caso hanno fatto vedere che fine possono fare i giornalisti. È un messaggio chiaro e forte per tutti noi… Ho ricevuto il messaggio.”
Una persona però sembra non aver perso fiducia. “Non ho paura” ha gridato Wa Lone mentre è stato portato via dall’aula di tribunale, “Non ho fatto nulla di sbagliato. Credo nella giustizia, la democrazia e la libertà”.
Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/09/burma-journalists-hammer-blow-guilty-verdict-could-spell-end-of-democracy/
5 settembre, Filippine – Duterte ordina l’arresto di un altro critico
Il presidente filippino Rodrigo Duterte ha ordinato l’arresto dell’ex ribelle, ed oggi senatore, Antonio Trillanes, nonché critico della politica di Duterte. Duterte avrebbe chiesto all’esercito di arrestare il senatore e portarlo davanti ad un tribunale per rispondere dei suoi crimini. Così facendo, però, il presidente filippino avrebbe revocato l’amnistia concessa dal suo predecessore.
Trillanes è il secondo senatore di cui l’amministrazione Duterte ordina l’arresto, il primo essendo la senatrice Leila De Lima, accusata di un improbabile traffico di stupefacenti. Secondo Florin Hilbay, avvocato di De Lima ci sarebbe “un chiaro schema di usare il sistema giudiziario come strumento per silenziare i suoi critici o nemici dell’amministrazione Duterte”, notando che il presidente non può revocare unilateralmente un’amnistia concessa da un suo predecessore.
Trillanes dal canto suo ha definito la dichiarazione del presidente “Dobbiamo sempre tornare a queste storie. Non deve orchestrare questi stratagemmi… Non c’è nessun caso ma mi vuole dietro le sbarre”. L’uomo ha dichiarato che andrà alla corte suprema per combattere l’ordine del presidente. La Integrated Bar of the Philippine ha in effetti dichiarato che “neanche la corte suprema ha il potere di modificare un giudizio che è diventato finale ed esecutivo” e ha chiesto all’esercito di non seguire un ordine illegale.
Fonte: The Guardian
Link: https://www.theguardian.com/world/2018/sep/05/philippies-rodrigo-duterte-orders-arrest-of-another-key-critic
6 settembre, Filippine – Secondo Duterte le “belle donne” sono la causa degli stupri
Il presidente filippino è nuovamente al centro di una controversia per i suoi commenti politicamente scorretti. Durante un evento Duterte ha dichiarato “Dicono che ci siano numerosi stupri a Davao. Fino a quando ci saranno tante belle donne ci saranno tanti casi di stupri”.
Il commento ha scatenato l’ira della vicepresidente, nonché oppositrice di Duterte, Leni Robredo. “Dobbiamo protestare. Sappiamo che non è giusto. Ci sono stupri perché ci sono stupratori, non perché ci sono belle ragazze., “Questa non è una cosa da prendere alla leggera”. Il presidente si è difeso spiegando che le Filippine sono un paese democratico dove ci si può esprimere liberamente.
Numerose associazioni hanno reagito ai commenti del presidente. Gabriela Woman’s Party, un’associazione per i diritti delle donne ha rilasciato un comunicato criticando fortemente le parole del presidente.
Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/09/philippines-duterte-blames-spike-in-rape-on-beautiful-women/
7 settembre, Birmania – La Corte penale internazionale dichiara aver giurisprudenza sul caso Rohingya
La Corte penale internazionale (CPI) ha dichiarato di aver giurisdizione sui possibili crimini contro l’umanità che avrebbe commesso l’esercito birmano. La corte dell’Aia permetterà quindi alla procuratrice Fatou Bensouda di proseguire con l’inchiesta e possibilmente formulare un’accusa.
La decisione della corte è altamente rivoluzionaria se si considera il fatto che la Birmania non è tra i membri firmatari dello stato della CPI. Lo è però il Bangladesh, e la deportazione di massa avvenuta nell’ultimo anno costituirebbe un elemento sufficiente per estendere la giurisdizione della corte.
L’esercito birmano, insieme al governo, sono stati ripetutamente accusati di pulizia etnica e di genocidio. Da oltre un anno sarebbero scappati quasi un milione di Rohingya dallo stato di Rakhine, a nord del paese. Circa 800.000 hanno trovato rifugio in Bangladesh, in ciò che è diventato il più grande campo profughi al mondo.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/international-criminal-court-says-it-has-jurisdiction-over-alleged-crimes-against
8 settembre, Indonesia – Secondo il governo non si dovrebbe ripetere la crisi economica del 1998
Il governo indonesiano ha pubblicato un report che dimostra il buon andamento economico del paese. Il paese ha un basso debito estero, un tasso di inflazione sano ed una buona crescita economica. Tutto ciò dovrebbe fare in modo che non si ripeta la crisi economica del 1998, che lasciò a casa milioni di indonesiani e causò la chiusura di oltre 60 banche.
Il ministro degli affari marittimi Luhut Pandjaitan ha spiegato che il debito estero rappresenta solo il 34 percento del prodotto interno lordo, rispetto ai 60 per del 1997. Inoltre, l’inflazione è del 3.2, un livello corretto considerando una crescita del 5.27 percento. Ciò, sempre secondo Luhut, dimostra la capacità del governo a mantenere la stabilità del paese.
L’ottimismo del campo del presidente è però contestato dall’opposizione, che si sta preparando per le elezioni generali di aprile. Secondo l’economista Rizal Ramli, i numeri macroeconomici dimostrerebbero alcuni segnali preoccupanti e ha esortato il governo a non riposarsi sugli allori.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/no-repeat-of-1998-financial-crisis-says-indonesia
9 settembre, Filippine – Un terremoto colpisce il sud del paese
Un terremoto di magnitudo 6.4 ha colpito il sud nel paese causando grande spavento e fortunatamente nessun morto. L’epicentro si situava al largo delle coste a circa 14 chilometri nel sottosuolo. La scossa avrebbe creato danni leggeri agli edifici circostanti.
Le Filippine si trovano sulla cosiddetta Cintura di fuoco, una vasta area dell’oceano Pacifico responsabile di numerose eruzioni vulcaniche e terremoti. Lo scorso luglio 2 persone sono morte dopo un terremoto di magnitudo 6.5. La scossa più importante degli ultimi anni risale al 2013, che uccise 220 persone e distrusse numerosi edifici storici.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/64-magnitude-earthquake-shakes-southern-philippines
Set Feature Image: Flickr