Rassegna stampa 21-27 maggio: sud est asiatico
21 maggio, Filippine – Risposta diplomatica filippina dopo l’arrivo di bombardieri cinesi nel Mar Cinese Meridionale
Dopo l’avvistamento di una serie di bombardieri cinesi, tra i quali bombardieri capaci di trasportare armamenti nucleari, Manila ha dichiarato di considerare una “azione diplomatica appropriata”. Il ministero degli affari esteri filippino ha rilasciato un comunicato dove dichiara “reiteriamo il nostro impegno a proteggere ogni centimetro del nostro territorio e le aree dove abbiamo diritti sovrani”. Il comunicato non condanna, però, in nessun modo le azioni dell’esercito cinese.
Il Mar Cinese Meridionale è al centro di una disputa tra Cina, Taiwan, Filippine, Malesia, Brunei e Vietnam. Al centro del litigio vi sono una serie di isole e porzioni di mare, indispensabili al controllo di uno degli snodi commerciali più importanti al mondo. Il presidente filippino Duterte è stato più volte criticato all’interno del proprio paese per non prendere una posizione più marcata nei confronti della Cina. Il presidente ha però ripetutamente dichiarato di non voler rischiare di intaccare i rapporti con il potente vicino, e di non voler andare in guerra per questa vicenda.
Fonte: Asian Corrispondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/05/philippines-takes-diplomatic-action-china-flies-bombers-islands/#pEdeYEhwkYb0imgm.97
22 maggio, Malesia – Najib interrogato dall’agenzia anticorruzione
L’ex primo ministro malese, Najib Razak, è stato interrogato per oltre 5 ore dalla Malaysian Anti-Corruption Commission (MACC). Najib è stato interrogato a proposito della SRC International Sdn Bhd, un’ex sussidiaria del fondo statale 1MDB, noto per il massiccio scandalo finanziario e di corruzione che ha scosso il paese.
Durante una conferenza stampa, il capo della MACC, Datuk Seri Shukri, aveva dichiarato che la convocazione fosse per “ricevere una dichiarazione, non per arrestarlo”. Una volta finito l’interrogatorio Najib ha dichiarato che la squadra investigativa si era comportata in maniera professionale concedendogli una pausa di mezz’ora. “Avevo già rilasciato una dichiarazione in merito nel 2015. La mia dichiarazione di oggi è solo un’estensione, con più dettagli, e per verificare alcuni documenti”.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/malaysias-ex-premier-najib-razak-faces-questioning-linked-to-1mdb
23 maggio, Tailandia – Le difficoltà dei manifestanti pro-democrazia
Per “festeggiare” come si deve il quarto compleanno dell’ultimo colpo di stato in Tailandia, quello del 22 maggio 2014, una manciata di dissidenti che osano ancora sfidare il potere della giunta, hanno voluto organizzare una “marcia pacifica” sul palazzo del governo a Bangkok. Questo compleanno, però, non ha potuto essere “festeggiato”, la folla non era presente, la polizia aveva bloccato le strade e le piogge del monsone non hanno aiutato. Infine, una dozzina di organizzatori, sono stati accusati di aver violato il divieto di assemblea di più di cinque persone, – ciò che impedisce qualsiasi attività politica sotto il regime militare – arrestati e portati alla centrale di polizia.
L’idea era di partire al mattino presto dall’Università Thammsat, situata vicino al fiume Chao Phraya, attraversare i quartieri storici della capitale, vicino al palazzo reale, prima di arrivare, 4 km più lontani, davanti agli edifici occupati dal primo ministro, il generale Prayuth Chan-ocha. Al termine della marcia, i capi del Gruppo per la restaurazione della democrazia (DRG), una organizzazione di studenti protestatari, avrebbero dovuto consegnare una lettera per chiedere al governo che le elezioni legislative siano mantenute, come inizialmente previsto, per il mese di novembre. Per il momento, il generale Prayuth non vuole cambiare posizione: anche se ha già fatto rimandare le elezioni più volte dal colpo di stato, la data prefissata è febbraio 2019. Non prima. E lo ha ripetuto martedì, uscendo dal consiglio dei ministri: “La data [delle elezioni] è febbraio 2019 e le cose si svolgeranno secondo gli imperativi del mio calendario” ha dichiarato.
Ammassati su un furgoncino davanti ad una tripla fila di poliziotti, i leader del DRG avevano chiesto a quest’ultimi, dalle 8:30 del mattino, di lasciarli passare per iniziare la propria manifestazione. Per diverse ore hanno tentato di negoziare, senza successo. Anche se, come lo diceva una figura di prua, Rangsiman Rome, “se ci avessero fatto passare la manifestazione sarebbe già finita e avremmo potuto presentare le nostre richieste al governo”.
Le richieste comportano, però, le dimissioni della giunta dal nome orwelliano “Consiglio nazionale per la pace e l’ordine”, così come la cessazione del sostegno dell’esercito al regime militare, vi erano poche possibilità che le richieste vengano prese in considerazione.
Nel mezzo del pomeriggio, gli organizzatori della manifestazione hanno dovuto arrendersi alla polizia. Prima di scomparire, col braccio teso e la mano alzata con il saluto a tre dita reso popolare nella serie di film Hunger Games, ormai diventato segno distintivo dei dissidenti tailandesi. Il leader del movimento, Rangsiman Rome, ha dovuto riconoscere il proprio fallimento in un discorso pieno di disillusione “Da quattro anni lottiamo per i nostri diritti. Abbiamo fatto di tutto. Alla fine, è possibile che non siamo in grado di provocare un ritorno alla democrazia” ha lanciato alla folla, “Più tardi, noi, o altre persone più giovani riprenderanno questa lotta”.
Il fallimento della manifestazione è stato anche popolare: a malapena un centinaio di persone erano pronte a prendere la direzione del palazzo del governo. L’età media dei manifestanti, lasciando da parte i giovani organizzatori, era di almeno 50 anni, per la maggior parte dei nostalgici del clan Shinawatra, che ha portato due primi ministri al paese, entrambi rovesciati da un colpo di stato militare. “Siamo venuti per esigere che il governo tenga la sua promessa a proposito delle elezioni” spiega Kajornsak, un settantacinquenne che agitava la bandiera tailandese.
Sembra però che dopo dodici anni di manifestazioni ed instabilità politica, periodo successivo al penultimo colpo di stato del 2006 e del rovesciamento del primo ministro di allora, Thaksin Shinawatra, i tailandesi si siano stancati. Nel 2010, l’esercito aveva sparato a più riprese su una folla di sostenitori di Thaksin, battizzati “camicie rosse” facendo un centinaio di morti a Bangkok.
Nel 2014, prima del colpo di stato del 22 maggio ed il rovesciamento del governo di Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin che era riuscita a farsi eleggere tre anni prima dopo una breve restaurazione della democrazia, delle manifestazioni avevano bloccato tutto il quartiere degli affari della capitale. Gli scontri avevano fatto una trentina di morti.
Un certo e recente miglioramento dell’economia, pur sempre in cattive condizioni rispetto a quella che fu la Tailandia, una volta una delle “tigri” le più dinamiche del sud est asiatico, si aggiunge il fatto che la giunta militare non si dimostra brutale come le altre in passato, non vada a favore dei dissidenti. Come lo dichiarava recentemente l’artista contemporaneo Vasan Sitthiket “le persone pensano che le elezioni non servano più a nulla”.
Fonte: Le Monde
Link: https://abonnes.lemonde.fr/asie-pacifique/article/2018/05/23/la-manifestation-des-opposants-a-la-junte-thailandaise-tourne-court_5303206_3216.html
24 maggio, Filippine – Lo stato filippino sta considerando di usare l’energia nucleare
Con la crescita esponenziale della domanda energetica all’interno di una delle economie più dinamiche al mondo, il governo filippino starebbe seriamente valutando la possibilità di sfruttare l’energia nucleare. L’unica centrale nucleare di tutto il sud est asiatico si trova infatti nelle Filippine ma non venne mai messa in funzione. La centrale fu voluta dal dittatore Suharto, deposto appena la struttura fu completata e subito dopo l’incidente di Chernobyl.
Attualmente, la centrale è aperta al pubblico, è possibile pagare il proprio biglietto d’ingresso e visitarla insieme a Wilfredo Torres, uno degli ingegneri incaricati della sua costruzione negli anni 1970. Oggi, il presidente Rodrigo Duterte starebbe seriamente considerando di attivare la centrale nucleare. Per fare ciò sarebbero necessari una serie di lavori ed ammodernamenti di almeno un miliardo di dollari, numerose imprese sudcoreane, russe e cinesi si sono dichiarate interessate al progetto.
Ad oggi, metà dell’elettricità del paese viene prodotta da centrali a carbone, e un quinto proviene dal gas naturale. Con un’economia in crescita del 6.8 percento annui, la domanda di elettricità dovrebbe triplicare entro il 2040.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/indonesias-improved-anti-terror-bill-allows-for-longer-detention-pre-emptive-arrests
25 maggio, Indonesia – Si inaspriscono le leggi antiterrorismo indonesiane
Il parlamento indonesiano ha approvato una nuova legge per lottare contro il terrorismo, rafforzando sensibilmente l’autonomia della polizia. Poco prima della votazione in aula, il presidente del parlamento ha lanciato “Chiediamo a tutte le fazioni. Accettiamo di ratificare la legge antiterrorista?”. L’appello è stato accolto dalle acclamazioni di praticamente tutti i politici presenti.
La nuova legge permetterà alle autorità di mantenere in stato di fermo un sospettato terrorista, senza possedere nessuna prova, per 21 giorni invece di 7. Inoltre, in caso la polizia riesca a raccogliere le prove contro il sospettato terrorista, il periodo di detenzione passerà da 180 a 290 giorni. Di questo tempo, 200 giorni saranno previsti per preparare l’investigazione e 90 per il procuratore per preparare l’accusa.
Il presidente indonesiano Joko Widodo aveva promesso da tempo un rafforzamento dell’arsenale legislativo per lottare contro il fenomeno terrorista. La serie di attacchi che hanno scosso il paese la scorsa settimana, uccidendo 12 persone, ha senza dubbio precipitato le cose. La nuova legge prevede anche di penalizzare chiunque sia membro di un’organizzazione che sia stata riconosciuta come associazione terrorista da parte dello stato indonesiano.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/indonesia-passes-stronger-anti-terror-law-allows-longer-detention-and-pre-emptive
26 maggio, Birmania – I Rohingya potrebbero essere colpevoli di crimini contro l’umanità
Vestiti di nero, armati di spade e fucili, degli uomini della misteriosa Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA), che afferma di combattere nel nome della minoranza musulmana in Birmania, avrebbero ucciso nel mese di agosto 2017 un centinaio di birmani induisti in due villaggi distinti del nord dello stato di Arakan.
E’ ciò che è stato rivelato da Amnesty International, che spiega aver sottoposto i dati a delle verifiche incrociate con i superstiti del massacro e poi sostenute dal lavoro di esperti in antropologia medico-legale. Poco prima di questi massacri, dei combattenti Arsa avevano attaccato una trentina di avamposti dell’esercito birmano nello stesso distretto, scatenando una risposta estremamente feroce da parte dell’esercito e della polizia. Delle operazioni che presentano “le caratteristiche di un genocidio” secondo le Nazioni Unite nel 2017. Quasi 700.000 Rohingya si sono da allora rifugiati in Bangladesh.
Ora sono i Rohingya ad essere accusati di crimini contro l’umanità, anche se il rapporto di Amnesty sottolinea che il massacro contro gli induisti non avrebbe, in maniera generale, il sostegno degli abitanti musulmani.
Tutto sarebbe iniziato il 27 agosto alle 8 del mattino, nel villaggio di Ah Nauk Kha Maung Seik. Degli uomini vestiti di nero dal volto coperto di maschere prendono in ostaggio una sessantina di induisti. Separano gli uomini, le donne e i bambini, in una “selezione” simile a quelle delle forze di sicurezza birmane nei confronti dei musulmani negli altri villaggi della regione.
Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty in Bangladesh, dove si sono anche rifugiati alcuni induisti, così come a Sitwe, capitale dell’Arakan, i guerriglieri hanno sgozzato e accoltellato 53 persone. Tra di loro ci sono 10 donne e 23 bambini, 14 di questi ultimi avevano meno di 8 anni.
Amnesty ha interrogato alcuni degli otto superstiti, tutte donne e bambini, che i loro aggressori hanno sequestrato e forzati ad andare in Bangladesh, dove le vittime sarebbero state costrette ad incolpare gli estremisti buddisti o l’esercito birmano.
“Gli aggressori erano armati di lunghi coltelli” ha raccontato una delle sopravvissute, la ventiduenne Bina Bala, “ci hanno legato le mani dietro la schiena e ci hanno bendato gli occhi. Gli ho chiesto cosa stessero facendo. Hanno risposto che noi induisti siamo come i buddisti: non abbiamo il diritto di vivere qui”. In queste distretto di Maugdaw, la popolazione è a forte maggioranza musulmana.
Il secondo massacro ha avuto luogo lo stesso giorno, un po’ più tardi: dei combattenti ARSA hanno attaccato Ye Bauk Kyar, un villaggio vicino, dove 46 persone sono scomparse da allora. La differenza con la prima scena del crimine, dove alcuni copri sono stati ritrovati, nessun cadavere è stato ritrovato in questo secondo villaggio. Amnesty, però, suppone che sarebbe altamente probabile che gli induisti di Ye Bauk Kyar abbiano subito lo stesso destino.
In un comunicato pubblicato sull’account Twitter, ARSA ha però “categoricamente negato queste accuse ingiustificabili di atti criminali”. L’autore del messaggio, Ata Ullah, leader del gruppo, insiste sul fatto che ARSA “abbia sempre diretto i propri attacchi contro i militari terroristi dell’esercito birmano.
Fonte: Le Monde
Link: https://abonnes.lemonde.fr/asie-pacifique/article/2018/05/26/des-rohingya-ont-commis-un-massacre-en-birmanie-affirme-amnesty-international_5305132_3216.html
27 maggio, Malesia – La strana settimana politica malese
Le elezioni malesi sono state senza dubbio tra le più importanti della storia del paese e hanno sconvolto il paesaggio politico. Dal giorno in cui sono emersi i risultati le vicende politiche del paese hanno sorpreso, e continuano a sorprendere, un’intera nazione, solitamente abituata ad eventi strani e singolari.
Qualche giorno dopo i risultati ufficiali, giornalisti e cittadini comuni si sono attruppati davanti a degli appartamenti di lusso legati all’ex primo ministro, Razak Najib, da dove gli investigatori hanno fatto uscire 284 scatole piene di borse della marca Hermes, 72 sacchi di denaro contante ed innumerevoli orologi e gioielli. Stranamente, come unica difesa, gli avvocati di Najib hanno denunciato il comportamento poco corretto di alcuni poliziotti che si sarebbero serviti nelle riserve di cibo delle case.
L’ex partito di maggioranza Umno, invece di dissociarsi da ciò che è stato trovato è venuto alla riscossa di Najib. I beni trovati sono stati descritti come eventuale materiale per corrompere funzionari pubblici e privati, ma il partito ha dichiarato che quelli erano soldi per la propria campagna.
Questo lunedì, il primo ministro Mahathir Mohamad ha sganciato una notizia bomba che ha provocato una forte preoccupazione nel settore economico. Secondo il premier, il debito del paese si aggirerebbe attorno ad 1 miliardo di RM (215 milioni di dollari) invece dei 687 dichiarati dal governo Najib.
Come se non bastasse il ministro delle finanze ha dichiarato che il fondo sovrano 1Malaysia Development Berhad (1MDB), al centro di un colossale scandalo finanziario legato a Najib, sarebbe insolvente. Questo però dopo che il governo, sempre secondo il ministro Lim Guan Eng, abbia pagato i servizi della banca 7 miliardi di RM da aprile dello scorso anno, più un altro miliardo a novembre 2018. A rendere ancora più curiosa la vicenda, ufficialmente solo il direttore esecutivo della banca risulta come impiegato della stessa banca.
Infine, la settimana si è conclusa con il ritorno di Datuk Seri Mohd Shukri Abdull alla Malaysian Anti-Corruption Commission, durante una conferenza stampa l’uomo scoppiato a piangere. Il funzionario descrive di come sia stato minacciato di morte ed impedito di continuare la propria inchiesta sull’1MDB.
Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/malaysias-weirdest-week
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