Rassegna settimanale 12-18 marzo 2018: Sud est asiatico
12 marzo, Birmania – L’esercito costruisce basi militari sui villaggi Rohingya distrutti
Secondo un nuovo report pubblicato da Amnesty intitolato “Remaking Rakhine State”, lo stato birmano avrebbe costruito numerose basi militari sopra i villaggi Rohingya distrutti. A conferma di ciò che molti critici avevano sospettato da tempo: le operazioni di sicurezza contro i Rohingya siano una copertura per recuperare ampie porzioni dello stato di Rakhine.
“Le nuove prove e le costruzioni documentate nelle nostre ultime ricerche hanno dimostrato che le autorità birmane stanno costruendo proprio nelle terre dove i Rohingya dovrebbero tornare” ha dichiarato Tirana Hassan, direttore del settore di crisis-response di Amnesty. Nelle foto scattate circa due mesi fa era possibile vedere i villaggi rasi al suolo, in quelle più recenti sono invece visibili varie costruzioni che, secondo l’ONG, verranno usate come basi militari.
Questo pone numerosi dubbi sulla questione del rimpatrio dei rifugiati Rohingya, inizialmente previsto per l’inizio dello scorso mese di gennaio. L’operazione è stata poi rimandata per l’assenza di qualsiasi garanzia.
Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/myanmar-erects-security-structures-atop-burned-rohingya-land-amnesty
13 marzo, Filippine – Può la Corte Penale Internazionale esercitare la propria giurisdizione sulle Filippine?
Il presidente Rodrigo Duterte disprezza le istituzioni internazionali e i leader stranieri che commentano il suo operato a tal punto che ha ripetutamente dichiarato che non deve rendere conto a nessuno finché gode del supporto del popolo filippino.
Questa settimana ha reagito con rabbia alla decisione del procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) di iniziare un’ “inchiesta preliminare” della situazione nel paese per quanto riguarda la guerra alla droga.
Davanti ad una platea composta di funzionari statali appena assunti, il presidente ha dichiarato “non potete esercitare la vostra giurisdizione su di me, per nessuna ragione al mondo, questo è perché non voglio rispondere. È vero.”
Questa spavalderia può far piacere a coloro che continuano ad essere perseguitati dai fantasmi della dominazione coloniale di circa 350 anni, e che percepiscono qualsiasi critica da parte di attori stranieri come un assalto alla sovranità dello stato.
Il mondo moderno, però, è molto più del semplice aggregato di nazioni che era prima della Seconda Guerra Mondiale. Quello che abbiamo davanti è un sistema globale che si sta evolvendo in qualcosa mai visto prima. Le aree di questo sistema si sono certamente sviluppate in maniera diseguale. Altri settori però – come l’economia e i mass media – sono sufficientemente avanzati e globalizzati che si trovano fuori dal controllo di qualsiasi stato. Scienza ed educazione si stanno a loro volta distaccando dalla loro sfera nazionale per partecipare alla formazione di un mondo più dinamico e globale.
Ciò non vuol dire che la globalizzazione abbia cancellato le diseguaglianze, infatti le ha accentuate sotto numerosi aspetti.
Essendo gli ultimi bastioni dello stato nazionale, i sistemi politici e giuridici sono probabilmente i più lenti ad evolversi. Siamo ancora ben lontani da avere un governo mondiale.
La xenofobia che ha preso il sopravvento nella maggior parte dell’Europa orientale, per via dell’importante flusso migratorio degli ultimi anni, dimostra dell’immensa difficoltà di istituzionalizzare un regime sui diritti umani anche nelle democrazie più avanzate. Dietro queste crisi perpetue, numerosi progressi sono stati fatti.
Componenti di un regime legale globale stanno prendendo forma sotto gli auspici degli accordi e trattati multilaterali ai quali gli stati hanno deciso di sottoporsi.
Lo statuto di Roma che ha creato la CPI, proprio per responsabilizzare gli individui per crimini contro l’umanità e le atrocità fino ad allora commesse in tutta impunità, è uno dei massimi esempi di questo sistema legale globale in costante evoluzione.
Tuttavia, alcuni vedono queste istituzioni come la mano invisibile dell’imperialismo occidentale e poco importa che dei cittadini filippini siano implicati in cariche importanti in questi organi.
Raul Pangalangan, già rettore del University of the Philippines College of Law, è attualmente giudice alla CPI partecipando così allo sforzo globale di portare la giustizia in ogni regione del mondo. Victoria Tauli-Corpuz, un’attivista di etnicità Igorot è un relatore speciale per i diritti degli indigeni presso le Nazioni Unite. Bisogna essere fieri di loro.
Un concetto come la CPI non può funzionare se viene imposto dall’alto. I governi firmano liberamente per farne parte e fare in modo che, se per una qualsiasi ragione, un futuro governo non abbia la volontà o le risorse per portare davanti ad un tribunale persone responsabili di crimini contro l’umanità, qualcuno possa farlo. Proprio in questi casi deve intervenire la CPI.
Il presidente Duterte, gli altri membri del governo e gli ufficiali di polizia che hanno iniziato, pianificato e implementato questa guerra alla droga possono credere che non verranno mai sottoposti alla giurisdizione della CPI.
Possono pensare che finché le corti domestiche sono funzionanti, che le investigazioni e azioni penali sono portate avanti, la CPI non abbia nessuna ragione di intervenire. Dovrebbero leggere il recente saggio di Jenny Domino del Cambridge International Law Journal intitolato “Can the Philippines overcome the principle of complementarity?”. Secondo la studiosa sarebbero riunite le condizioni per che la CPI metta in moto una procedura contro le Filippine.
Il portavoce del presidente, Harry Roque deve sicuramente essere al corrente di questo, essendo l’unico avvocato filippino qualificato per presentarsi alla CPI. Ciò potrebbe spiegare un uso delle parole molto attento nei suoi ultimi commenti.
Ogni volta che il presidente parla a sostegno della sua guerra contro il narco-traffico e le azioni dei poliziotti filippini, la CPI ha nuove ragioni per intervenire e mettere fine al più presto a queste uccisioni di massa.
Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/can-icc-acquire-jurisdiction-over-duterte-and-his-anti-drug-war-inquirer-columnist
14 marzo, Filippine – Rodrigo Duterte ritira le Filippine dalla Corte Penale Internazionale
Il presidente filippino Rodrigo Duterte ha annunciato in un comunicato “Dichiaro […] che le Filippine revocano la loro ratificazione dello statuto di Roma con effetto immediato”. Il paese era sotto un’inchiesta preliminare della Corte Internazionale di Giustizia per possibili crimini contro l’umanità. Queste inchieste avrebbero determinato se la corte fosse competente a prendere ad aprire una procedura nei confronti delle Filippine.
Fonte: Le Monde
Link: http://lemonde.fr/asie-pacifique/article/2018/03/14/le-president-des-philippines-annonce-le-retrait-du-pays-de-la-cour-penale-internationale_5270541_3216.html
15 marzo, Indonesia – Criticare un politico potrà essere un crimine
Presto, criticare un politico potrebbe diventare un crimine in Indonesia in una nuova legge votata dal parlamento. Secondo la formulazione molto vaga “mancare di rispetto al parlamento o ai suoi membri” sarà considerato come un crimine. La terza democrazia al mondo in termini di popolazione potrebbe quindi conoscere un notevole passo indietro.
Alcuni manifestanti come Sebastian Salang, membro del gruppo Indonesian Parliament Watchdog, si sono chiesti “come viene definita una mancanza di rispetto secondo questa legge?”. “Non è chiaramente spiegato e potrebbe essere interpretato in maniera conveniente per i politici”. Centinaia di manifestanti si sono radunati difronte alla corte costituzionale di Jakarta, invocando la revoca della nuova legge.
Secondo alcuni osservatori questa legge potrebbe rendere impossibile criticare i politici per corruzione, un problema endemico in tutto il paese. Questa legge si inscrive in quadro generale di deterioramento della qualità democratica del paese. Il presidente Joko Widodo si è rifiutato di firmare la legge sulla quale però non possiede il potere di veto. L’unica soluzione rimane la corte costituzionale
Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/indonesia-makes-criticising-politicians-a-crime
16 marzo, Filippine – La senatrice De Lima da del codardo a Duterte
La senatrice Leila De Lima è comparsa oggi davanti al tribunale dopo essere stata accusata di aver un ruolo nel narco traffico del paese. La donna rigetta con forza le accuse che descrive come politicamente motivate per via delle sue critiche al governo di Duterte.
La senatrice ha ripetutamente chiesto al ministero della giustizia, che rivendica avere delle prove materiali contro De Lima, di rendere pubbliche queste prove. “Hanno menzionato un conto in banca dove erano depositati i soldi, dov’è questo conto? Vogliamo saperlo” ha dichiarato l’avvocato. Inoltre, mentre i poliziotti riaccompagnavano De Lima in prigione la donna ha sfidato il presidente gridando ai giornalisti “Pensavo che avrebbe sfidato la CPI (Corte Penale Internazionale)” e “#DuterteCodardo”.
Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/03/coward-duterte-senator-de-lima-demands-court-show-evidence-against-her/#klHtvjkzRUDTmqFI.97
17 marzo, Crisi Rohingya – Il governo malese avverte che la crisi Rohingya potrebbe causare problemi di sicurezza
Il primo ministro malese Najib Razak ha avvertito l’intero sudest asiatico delle possibili implicazioni della crisi Rohingya sulla sicurezza regionale. Durante un incontro ASEAN-Australia in presenza di Aung San Suu Kyi, il premier ha dichiarato che questi rifugiati possono infatti cadere tra le mani dei reclutatori dello Stato Islamico e per questo non è più solo una questione domestica.
“Dobbiamo essere vigilanti ed aumentare la nostra collaborazione, perché il crollo di Daesh in Iraq e Syria li ha obbligati ad operare di nascosto per poter ri-emergere altrove, particolarmente in aree di crisi” ha spiegato Najib. “Dobbiamo imparare dall’esperienza di Marawi e preoccupati che almeno 10 gruppi di militanti sull’isola di Mindanao abbiano giurato fedeltà allo Stato Islamico”.
Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/malaysia-warns-rohingya-crisis-could-pose-security-risk
18 marzo, Indonesia – Il figlio di Suharto si lancia in politica
Hutomo “Tommy” Mandala Putra, il più giovane dei discendenti dell’ex dittatore indonesiano Suharto, sta attualmente lanciando la sua carriera politica a capo di un partito rivendicando l’eredità del padre. Suharto ha governato il paese con una mano di ferro per oltre 32 anni, fino alle proteste che lo hanno obbligato ad abdicare il potere nel 1998.
I suoi discendenti e la sua famiglia hanno ripetutamente provato ad entrare in politica rivendicando l’eredità dell’ex dittatore. Numerosi abitanti del paese rimpiangono infatti la stabilità e la solida crescita economica degli anni di Suharto, un tema sul quale si appoggia molto Tommy “oggi vediamo uccisioni ovunque, borseggiatori, leader religiosi aggrediti”.
Inoltre, il figlio di Suharto ha direttamente richiamato l’operato del padre “E’ impossibile per noi ritornare al Nuovo Ordine (il governo Suharto); appartiene alla storia del paese”, “Vogliamo però sviluppare e continuare le cose buone che sono state fatte dal Nuovo Ordine”. Il partito che sostiene Tommy, Berkarya Party, punta ad ottenere 80 seggi nel parlamento, ossia il 14 percento dei voti.
Tommy era stato condannato a 15 anni di prigione nel 2002 per aver assoldato un sicario nel tentato omicidio del giudice della corte suprema incaricato di indagare su un caso di corruzione a proposito Tommy. La sua sentenza era stata successivamente ridotta durante il suo processo in appello.
Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/suhartos-youngest-son-in-new-bid-to-enter-indonesian-politics
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