Rassegna settimanale 18-24 settembre: Sud Est Asiatico

Rassegna settimanale 18-24 settembre: Sud Est Asiatico

 

18 settembre, Birmania – Più di mezzo milione di bambini Rohingya in Bangladesh entro fine 2017

 Seicentomila. Ecco il numero di bambini Rohingya che potrebbero essere presenti in Bangladesh entro la fin del dell’anno secondo il gruppo Save The Children. A causa delle violenze in corso nello stato di Rakhine, in Birmania, più di 400.000 persone sono già fuggite nel paese vicino. Secondo una stima delle Nazioni Unite il 60 percento di questi profughi sarebbero bambini.

Secondo Mark Pierce, il direttore di Save The Children in Bangladesh, “La portata di questo flusso di migranti […] è senza precedenti e sta mettendo in grande difficoltà i paesi accoglienti e le agenzie umanitarie”. “Molte persone arrivano affamate, esauste e senza cibo né acqua, avendo lasciato le loro case per salvare la propria vita. Sono particolarmente preoccupato che la domanda di cibo, rifugio, acqua, igiene no venga soddisfatta per via del numero enorme di persone in grande difficoltà”.

L’UNICEF ha dichiarato questo lunedì una grande campagna di vaccinazione contro il morbillo, la rosolia e la poliomielite. Il rappresentante dell’UNICEF in Bangladesh ha dichiarato “Il morbillo è estremamente contagioso e pericoloso durante le emergenze, specialmente per i bambini già deboli o che soffrono di malnutrizione.

Le immagini satellite proveniente di Human Rights Watch e Amnesty International mostrano chiaramente la portata del disastro. Dal 25 agosto più di 100 villaggi Rohingya sono stati rasi al suolo. Il segretario delle Nazioni Unite ha usato le parole di “pulizia etnica” per definire la situazione in corso. Intanto le autorità del paese respingono ogni accusa e hanno dichiarato che i Rohingya hanno distrutto e bruciato le loro case.

Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2017/09/half-million-rohingya-children-bangladesh-years-end/#KiyeUeDDJewbsYLK.97

19 settembre, Birmania – Il discorso di Aung San Suu Kyi

 La leader della Birmania Aung San Suu Kyi ha rotto il silenzio sulla questione dei Rohingya in un discorso per rassicurare la comunità internazionale su quello che le Nazioni Unite considerano “pulizia etnica”. Sono emersi cinque punti centrali in questa allocuzione.

  1. “Compatiamo quelli che soffrono”

Suu Kyi ha evitato il termine Rohingya, una parola che molti si rifiutano di usare nel paese a maggioranza buddista. Molti pensano che i musulmani Rohingya non siano un gruppo etnico, ma un gruppo di immigrati illegali provenienti dal Bangladesh.

Ha però mostrato preoccupazione per “quelli che soffrono” negli ultimi episodi di violenza, le sue parole più compassionevoli da quando più di 400.000 persone sono fuggite dallo stato di Rakhine per rifugiarsi in Bangladesh.

“Siamo profondamente toccati dalla sofferenza di tutte le persone che sono state toccate da questo conflitto. Sono molti ad aver dovuto abbandonare le proprie case. Non solo i musulmani e i rakhiniani, ma anche altre minoranze”.

  1. Evitare di dare colpevoli

Mentre Suu Kyi ha riconosciuto l’intensità delle violenze ha rifiutato di dare la colpa ad un gruppo specifico.

I rifugiati Rohingya, gruppi per i diritti e le Nazioni Unite, hanno accusato i militari birmani e alcuni gruppi di usare pallottole e incendi per portare avanti una pulizia etnica nei confronti dei Rohingya.

L’esercito ed il governo, nel frattempo, ha difeso le operazioni in corso definendole legittime e in risposta all’attacco contro posti di polizia che ha provocato una dozzina di vittime tra i poliziotti.

“So che molti dei nostri amici in tutto il mondo sono preoccupati dalle notizie di villaggi bruciati e numerosi rifugiati che scappano” ha commentato Suu Kyi. “Anche noi lo siamo. Vogliamo trovare quali siano i veri problemi. Ci sono state informazioni e contro-informazioni, e abbiamo ascoltato ciascuna di loro. Dobbiamo essere sicuri che queste informazioni siano basate su prove solide prima di muoverci”. Ha inoltre promesso di prendere misure contro quelli che hanno violato la legge o i diritti umani, “senza distinzione di religione, razza o posizione politca”

  1. Pronti a rimpatriare

La promessa più concreta di Suu Kyi è stata quella di iniziare un “processo di verifiche” per rimpatriare i rifugiati.

“Ci sono state richieste per il rimpatriare i rifugiati che hanno lasciato la Birmania per andare in Bangladesh. Siamo pronti a iniziare le verifiche il prima possibile”

Inoltre ha dichiarato che, il rimpatrio, seguirebbe le linee guida di un accordo con il Bangladesh dell’inizio anni 1990, che avrebbe permesso il ritorno dei Rohingya i quali sarebbero stati in grado di dimostrare di abitare in Birmania.

“Seguiremo i criteri con i quali ci eravamo accordati quella volta” ha dichiarato Suu Kyi. “Quelli che verranno identificati come dei rifugiati provenienti da questo paese saranno accettati senza nessun problema e con la piena garanzia per la loro sicurezza e l’accesso agli aiuti umanitari”. Le verifiche saranno però complicate. La maggior parte dei Rohingya sono fuggiti con il minimo indispensabile mentre le loro case – potenzialmente con tutta la loro documentazione – sono state bruciate.

  1. “Venite a vedere”

Suu Kyi ha invitato gli osservatori stranieri a visitare la Birmania e constatare la situazione con i propri occhi – malgrado le importanti restrizioni che il suo governo ha messo in atto per quanto riguarda le zone del conflitto.

Gli aiuti umanitari sono stati severamente limitati da quasi un anno e i media sono stati autorizzati a visitare zone ben specifiche scortati dal governo.

“Vi invitiamo a raggiungerci, parlare con noi, discutere con noi, andare con noi nelle zone danneggiate, garantiremo la vostra sicurezza”. “Vorremmo che voi veniate insieme a noi, che vediate con i vostri occhi quello che sta succedendo, pensare in maniera indipendente”

  1. Date del tempo alla Birmania

Suu Kyi ha questo pazienza per la Birmania, visto che il paese è da poco uscito da una dittatura militare durata diversi decenni.

L’esercito ha accettato di allentare il monopolio sul controllo del governo nel 2011, mantenendo però certi posti chiavi del governo e le decisioni che riguardano la sicurezza del paese.

“La Birmania è una nazione complessa come sapete tutti” ha detto Suu Kyi. “E le sue complessità vengono peggiorate dal fatto che le persone si aspettano di sormontare tutte queste sfide in un lasso di tempo molto breve”. “Siamo una giovane e fragile democrazia con numerosi problemi. Ma dobbiamo affrontarli tutti allo stesso tempo, non possiamo concentrarci solo su alcuni”. “È triste che quando incontro la comunità diplomatica sia obbligata a concentrarmi solo su alcuni di questi problemi, quando ce ne sono così tanti che potremmo risolvere tutti insieme”.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/5-key-points-from-myanmar-leader-aung-san-suu-kyi-s-address-on-rohingya-crisis

20 settembre, Birmania – ISIS e Al-Qaeda attratti dalla crisi di Rakhine

La sorte dei Rohingya nello Stato di Rakhine ha attirato l’attenzione di tutto il mondo sulla Birmania. 410.000 persone avrebbe lasciato il paese e l’esercito birmano è accusato di pulizia etnica nei confronti della minoranza musulmana. Gli esperti di contro-terrorismo hanno però lanciato l’allarme dichiarando che la situazione avrebbe attirato l’attenzione anche di vari gruppi terroristici tra i quali l’ISIS, Al-Qaeda, e gruppi conservatori in Indonesia e Malesia.

Sempre secondo gli esperti di contro terrorismo il gruppo Stato Islamico sta attivamente cercando di sfruttare la situazione per reclutare nuovi soldati. Negli ultimi mesi sono state arrestate numerose persone provenienti da tutto il sud est asiatico in viaggio verso lo stato di Rakhine. Nel frattempo in Indonesia l’Islamic Defenders Front, un’organizzazione nota per la sua intransigenza e interpretazione letteraria dell’Islam ha chiamato i “jihadisti” a recarsi nello stato di Rakhine e difendere i Rohingya.

Secondo molti esperti, lo Stato Islamico, consapevole della propria debolezza e perdita di terreno in Medio Oriente, sta attivamente cercando di costruirsi una nuova base operativa nel sud-est asiatico. Il recente assedio della città di Marawi sarebbe la prova più evidente di questa nuova strategia.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/isis-al-qaeda-drawn-to-crisis-in-rakhine-state

21 settembre, Filippine – Manifestazioni contro Rodrigo Duterte

All’incirca 30.000 persone si sono riunite per manifestare contro la politica del presidente Filippino Rodrigo Duterte, che secondo alcuni attivisti avrebbe inquietanti similitudini a quella del dittatore Ferdinand Marcos. La folla ha definito il presidente un dittatore ed un fascista e condannato la guerra alla droga che ha già causato la morte di oltre 7.000 persone. “Quando accendo la radio, ogni giorno, sento quattro, sette, trenta persone che sono state uccise. Viviamo in un cimitero” ha commentato un manifestante.

Circa 3000 attivisti per i diritti umani, politici e sostenitori dell’ex presidente Benigno Aquino, hanno tenuto un altro raduno anti Duterte nell’edificio della Commissione sui Diritti Umani. Prima del raduno Aquino e il vice presidente Leni Robredo hanno partecipato ad una messa in onore delle vittime. Il vice presidente e il presidente delle Filippine non vengono eletti durante le stesse elezioni e Robredo è alla testa del partito di opposizione.

Queste proteste sono state organizzate per marcare il quarantacinquesimo anniversario della dichiarazione della legge marziale da parte di Marcos nel 1972. L’attuale presidente si era schierato dalla parte della famiglia di Marcos durante le elezioni e ha successivamente autorizzato la sepoltura dell’ex dittatore in un cimitero riservato agli eroi nazionali.

In reazione alle proteste contro il presidente Rodrigo Duterte, il suo portavoce Ernesto Abella ha dichiarato “Questo è il momento più adatto per le persone del governo di sentire la voce dei governati come parte integrante del nostro sforzo di mantenere gli elevati standard di buon governo. Questo evento è stato un esempio di sana democrazia.”

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/thousands-rally-in-philippines-to-warn-of-duterte-dictatorship

22 settembre, Birmania – I buddisti fermano le navi di aiuto umanitario

Dei manifestanti buddisti hanno respinto con delle bombe a petrolio le navi contenenti aiuti umanitari diretti per lo stato di Rakhine. I manifestanti sono poi stati dispersi da 200 poliziotti e alcuni di loro si trovano in stato di fermo. L’incidente è avvenuto durante la visita di un assistente del vice segretario di stato americano Patrick Murphy, il quale ha successivamente comunicato la preoccupazione di Washington gli eventi delle ultime settimane.

Il capo dell’esercito birmano, in un discorso pronunciato qualche giorno fa a Sittwe, ha dichiarato che le sue truppe hanno gestito la situazione al meglio che potevano. Inoltre ha lanciato un appello ai rifugiati “Per tutti i gruppi etnici nazionali che hanno lasciato le loro case, prima di tutto devono tornare… è qui che appartengono”. Il problema per la popolazione Rohingya sta proprio nel fatto che non vengono riconosciuti come gruppo etnico all’interno del paese.

La situazione tra la maggioranza buddista del paese e la minoranza musulmana Rohingya, già esplosiva, è peggiorata dopo un attacco da parte di ribelli Rohingya che ha fatto 30 morti. La crisi ha già causato lo spostamento di 422.000 profughi secondo alcune stime e numerose condanne internazionali. Il presidente americano Donald Trump ha lanciato un appello per mettere fino alle violenze, il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato di genocidio e il segretario delle Nazioni Unite ha usate il termine di “pulizia etnica da manuale”.

Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2017/09/buddhists-throw-petrol-bombs-stop-rohingya-aid-shipment/#32IFGjys47Vqm7M6.97

23 settembre – Birmania: L’ONU stima l’aiuto umanitario necessario

Gli Stati Uniti hanno chiesto allo stato birmano di adottare misure urgenti per mettere fine alle violenze in corso nello stato di Rakhine. Patrick Murphy, assistente del vice segretario di stato americano, ha dichiarato “Pensiamo che, in maniera urgente, devono essere prese delle decisioni per mettere fine alle violenze e facilitare l’assistenza umanitaria, diminuire le tensioni e l’escalation verbale e… iniziare a lavorare sodo per risolvere questioni presenti da numerosi anni”.

Un funzionario delle Nazioni Unite ha stimato che sarebbero necessari 200 milioni di dollari americani per aiutare i 422.000 rifugiati in Bangladesh per una durata di sei mesi. L’ONU dovrebbe lanciare una campagna nei prossimi giorni volta a raccogliere i fondi necessari. Inoltre la Svezia, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Egitto, Senegal e Kazakistan hanno chiesto al Segretario Generale di informare pubblicamente i 15 membri del consiglio di sicurezza sulla questione birmana.

Murphy ha successivamente dichiarato che la risposta dello stato ad un attacco ribelle nel mese di agosto è sproporzionata e rischia di sottoporre il paese ad una minaccia terrorista.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/us-seeks-urgent-action-on-myanmar-7-un-security-council-members-seek-meeting

24 settembre, Tailandia – Forti sospetti che Prayut cerchi di rimanere al potere

L’attività politica in Tailandia è stata sospesa dal 2014, da quando l’attuale primo ministro e la sua giunta militare hanno preso il potere. Molti politici tailandesi stanno però iniziando a chiedersi se Prayut si sia lanciato in ciò che sembra una vera e propria campagna politica. Dal mese di agosto, il primo ministro si è recato in sei province, incluse regioni tradizionalmente considerate come importanti per vincere un’elezione. “Non sarebbe un’idea così strana che sia già andato in campagna direttamente sul terreno per rimanere primo ministro” ha spiegato Chaturon Chaisang, leader del partito Pheu Thai.

Le attività politiche riprenderanno solo il mese prossimo, dopo la cremazione del re Bhumibol Adulyadej, scomparso quasi un anno fa, e la successiva incoronazione del figlio Maha Vajiralongkorn. Secondo un sondaggio condotto lo scorso giugno, il 53 percento dei tailandesi sarebbe d’accordo per che Prayut serva un altro mandato. “Se il primo ministro può realmente aiutare i poveri allora può rimanere dov’è fino a quando gli pare” ha dichiarato un contadino dopo uno dei raduni.

L’attuale primo ministro non potrebbe tecnicamente presentarsi per un nuovo mandato perché avrebbe dovuto dare le proprie dimissioni entro il mese di luglio. La nuova costituzione redatta dalla giunta lascia però una possibilità perché ciò accada. Il primo ministro potrebbe essere scelto come “primo ministro esterno”, previsto dalla costituzione in caso il partito vincente non riesca a prendere abbastanza voti per il suo candidato nella camera bassa. In tale caso, la camera alta, controllata dai militari, potrebbe influire pesantemente sulla decisione. La decisione dovrebbe però essere confermata a sua volta dalla camera bassa.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/prayut-backers-fuel-suspicions-of-plans-to-stay-in-power-in-thailand

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