Rassegna settimanale 10-16 Luglio: Sud Est Asiatico
10 luglio, Cambogia – Il parlamento modifica la legge elettorale
Il parlamento cambogiano ha modificato la legge elettorale, vietando così di partecipare a chiunque sia stato condannato. Il Partito Popolare Cambogiano ha inoltre reso illegale a qualsiasi persona di partecipare indirettamente tramite immagini, tracce audio e testi. I partiti politici che non rispettano questa modifica incorrono cinque anni di sospensione o possono essere addirittura sciolti.
L’opposizione ha duramente criticato il nuovo testo di legge sostenendo che queste modifiche servono soltanto ad impedire il leader dell’opposizione Sam Rainsy di partecipare. Sam Rainsy, a capo del partito di opposizione Cambodia National Rescue Party (CNRP), si trova attualmente in esilio in Francia per evitare l’arresto. Il CNRP ha dichiarato che i cambiamenti sono illegali e che “la proposta di legge è una strategia politica”.
Hun Sen, il premier cambogia, dovrà affrontare le elezioni nazionali l’anno prossimo avendo vinto il mese scorso le elezioni locali. Malgrado la vittoria il partito di opposizione si è dimostrato un temibile rivale raccogliendo il 43 percento dei consensi e alcuni commentano che potrebbe mettere in pericolo il primo ministro, al governo da oltre 30 anni.
Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2017/07/ahead-2018-polls-cambodia-amends-election-law/#sMOgh2hlc46R66T7.97
11 luglio, Birmania – Gli Stati Uniti intimano al governo birmano di accettare la missione ONU
Gli Stati Uniti hanno intimato al governo birmano di lasciare entrare la missione di “fact-finding” e di lasciarla svolgere il proprio lavoro in tutta libertà per indagare sulla questione Rohingya. Lo Human Rights Council delle Nazioni Unite ha stabilito una missione nel mese di marzo ma l’accesso è stato rifiutato da Aung San Suu Kyi, capo del governo e premio Nobel per la pace nel 1991.
L’ambasciatore americano all’ONU, Nikki Haley, ha dichiarato a riguardo “E’ importante che il governo birmano lasci la missione ONU fare il proprio lavoro”. “La comunità internazionale non può ignorare quello che sta succedendo”. Dal mese di ottobre sarebbero 75.000 i Rohingya che sono scappati dallo stato di Rakhine per rifugiarsi in Bangladesh. L’esercito birmano sta conducendo una dura repressione da quando degli avamposti frontalieri sono stati attaccati da alcuni ribelli Rohingya.
Un rapporto delle Nazioni Uniti, basato su testimonianze di rifugiati Rohingya ha dichiarato altamente probabile che siano in corso crimini contro l’umanità e pulizia etnica. Il governo birmano considera la minoranza Rohingya, all’incirca un milione di persone, come immigrati illegali e si rifiuta di conferire loro la cittadinanza anche se alcune famiglie sono in Birmania da generazioni.
Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/us-urges-myanmar-to-allow-un-inquiry-into-rohingya
12 luglio, Mar Cinese Meridionale – Il Mar Cinese Meridionale: da una ruggente vittoria ad un mormorio
Il 12 luglio dell’anno, un tribunale arbitrale dell’Aja si è nettamente pronunciato a favore delle Filippine sul caso dell’espansionismo cinese sul Mar Cinese Meridionale.
Il tribunale ha smontato la tesi del governo cinese dei “diritti storici” su due terzi delle acque. Inoltre la corte ha dichiarato che le pretese cinesi in contrasto con un trattato internazionale che usa i territori emersi, invece dei “diritti storici”, per determinare le frontiere marittime.
Centinaia di attivisti anti-Cina hanno festeggiato dopo l’annuncio del verdetto. Si sono sentiti rumori di tamburi e alcune persone si sono messe a ballare nel centro di Manila.
Un migliaio di palloncini rossi, blu, bianchi e gialli che simboleggiavano la bandiera filippina sono stati lanciati, e diverse voci per una “Chexit” si sono fatte sentire.
Lo stesso giorno però, l’allora segretario agli affari esteri Perfetco Yasay non sembrava voler festeggiare. Infatti chiamò alla “moderazione e sobrietà” anche se definì l’arbitraggio come un “trionfo dello stato di diritto”, e le speranze per che la Cina moderasse le sue pretese e la costruzione di isole nuove erano molto alte.
Questo fece capire come il nuovo governo di Rodrigo Duterte avesse l’intenzione di gestire la situazione.
Nei mesi successivi, la decisione arbitrale è stata sempre di più accantonata mentre Duterte aveva avviato la sua operazione di seduzione nei confronti della Cina e di staccarsi dagli Stati Uniti. Questo in parte per dispetto, ma soprattutto per ragioni puramente pragmatiche.
Duterte ha ripetuto più volte che avrebbe discusso la vicenda con il presidente Xi Jinpin prima della fine del suo mandato in quanto presidente delle Filippine nel 2022. Con la propria politica estera sempre più dipendente nei confronti di Pechino questa sembra però altamente improbabile.
Provò una volta ad evocare la faccenda con Xi che rispose senza giri di parole che la Cina sarebbe entrata in guerra con le Filippine se avesse insistito per far rispettare la decisione del tribunale.
Per alcuni analisti però, il valore dell’arbitrato sta proprio nel fatto che esista. “L’Aja ha implicitamente fornito alle Filippine qualcosa su cui far leva senza che ci sia il bisogno di menzionarlo” ha spiegato il Professore Eduardo Araral, vice direttore di facoltà alla Lee Kuan School of Public Policy.
Ha detto infatti che la posizione delle Filippine “ha calmato le acque” nel Mar Cinese Meridionale e “in qualche modo alterato le dinamiche dell’ASEAN”. Questo ha reso altamente probabile che il “codice di condotta” per evitare i conflitti nelle acque disputate sarà messo in atto dal mese di novembre.
Il portavoce del presidente Duterte, Ernesto Abella, ha detto qualche giorno fa che era “eccellente” il fatto che Cina e Filippine “stiano dialogando”.
Per l’ex segretario di stato Albreto del Rosario, che organizzo il caso di Manila contro Pechino, invece una politica estera che si concentri “sul accontentare la Cina a scapito di chiunque altro” distrugge tutti i guadagni che l’arbitrato avrebbe potuto portare.
“Non possiamo dimenticarci cosa le Filippine hanno guadagnato dall’arbitrato, e ciò che potrebbe ancora guadagnare, tramite una giusta e saggia leadership, e la protezione delle regole. Non possiamo indebolire questa protezione scegliendo quando conviene seguire le regole e quando ignorarle” ha detto Del Rosario.
Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/s-china-sea-ruling-from-roaring-victory-to-a-whisper
13 luglio, Indonesia – Il governo decide di prendere posizione contro i gruppi religiosi più intransigenti
Varie organizzazioni civili in Indonesia hanno criticato la nuova decisione del governo di sciogliere alcuni gruppi reputati in contrasto con l’ideologia secolare dello stato. Il presidente Joko “Jokowi” Widodo ha firmato un decreto che secondo alcuni serve a contenere la salita dei gruppi musulmani più estremi. Questa presa di posizione del governo è dovuta alle critiche dopo il ruolo giocato da alcuni gruppi religiosi nell’arresto e la condanna dell’ex governatore cattolico di Jakarta.
“Questo decreto è la prova che il regime è di natura repressiva, autoritaria, e non fa altro che ripetere che ha fatto il regime precedente” ha dichiarato Ismail Yusanto, il portavoce di Hizb-ut Tahrir Indonesia. I riferimenti al regime precedente riguardano l’ex presidente Suharto che rimase al potere per 32 anni, fino alla sua caduta nel 1998, ancora ben presente nell’immaginario collettivo per via delle numerose violazioni dei diritti.
L’Indonesia è il paese al mondo con la più ampia popolazione musulmana e importanti minoranze cristiane, hindu, buddiste, e altre religioni tradizionali. La libertà religiosa è considerata uno dei principi cardini della costituzione.
Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2017/07/indonesia-rights-activists-call-crackdown-hardlines-islamists-repressive/#wwesQOQaPjpuEHcI.97
14 luglio, Filippine – Le Filippine tra i paesi più pericolosi per gli attivisti ambientali
Secondo l’ONG Global Witness, per il quarto anno di fila, le Filippine sono il paese asiatico più pericoloso per gli attivisti ambientali, e il terzo al mondo. Nel report pubblicato qualche giorno fa si enumeravano 28 omicidi di attivisti. Inoltro a livello mondiale è stato notato non solo il numero di uccisioni stia aumentando, ma anche la loro distribuzione geografica. Nel 2016 sono stati 200 gli omicidi in 24, rispetto ai 185 nel 2015 in 16 paesi.
Nel report è possibile leggere che “Le Filippine rimangono uno dei posti più pericolosi per difendere l’ambiente con 28 omicidi nel 2016; la maggior parte legati a proteste contro l’industria mineraria.” Secondo Leon Dulce, uno dei coordinatori di Global Witness nel paese: “senza nessun cambiamento nelle politiche ambientali da una parte, e un aumento delle campagne fasciste di polizia e militari dall’altra” questa tendenza dovrebbe confermarsi.
Secondo un attivista di Global Witness Ben Leather “Gli stati stanno infrangendo le proprie leggi e non sono all’altezza dei propri cittadini nel peggior modo possibile. Coraggiosi attivisti sono uccisi, aggrediti e criminalizzati dalle persone che dovrebbero proteggerli.” Global Witness ha però dichiarata che i dati che possiedono sono sicuramente ben lontani dalla realtà e che molte aggressioni, soprattutto nelle zone più remote, non vengono registrate.
Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2017/07/philippines-deadliest-country-asia-environmental-activists-group/#O0IHQ4kqBO9fP4b9.97
15 luglio, Indonesia – L’Indonesia ribattezza alcune parti del Mar Cinese Meridionale
L’Indonesia ha ribattezzato le parti più a nord della propria zona economica esclusiva nel Mar Cinese Meridionale in “North Natuna Sea”, in un un’ulteriore tentativo di resistenza contro le mire espansionistiche cinesi. Secondo alcuni esperti questo sarebbe un tentativo da parte dello stato indonesiano di affermare la propria sovranità su questa zona contestata.
Numerosi stati sono coinvolti nella disputa territoriale in corso, e la posta in palio è altissima: abbondanti risorse di idrocarburi ed ittiche si trovano nel Mar Cinese Merdionale. La Cina, lo stato con le maggior pretese e la posizione più aggressiva sta costruendo numerose isole in alto mare per dispiegare truppe o armamenti militari. L’Indonesia ha sempre insistito di non far parete della disputa anche se esistono tensioni per i diritti di pesca e un importante aumento delle spese militari negli ultimi 18 mesi.
Il portavoce del ministro degli affari esteri cinesi ha dichiarato che “i cosiddetti cambiamenti di nomi da parte di alcuni paesi sono senza significato” e che il nome Mar Cinese Meridionale avesse un ampio riconoscimento internazionale così come una chiara delimitazione geografica. Per certi analisti, come I Made Ande Arsana queste prese di posizioni sono certamente altamente simboliche ma fanno capire la posizione diplomatica degli stati.
Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/indonesia-renames-part-of-south-china-sea
16 luglio, Birmania – Alcuni Rohingya testimoniano delle violenze subite
Alcuni giornalisti sono stati autorizzati, con una scorta del governo birmano, a recarsi nello stato di Rakhine. Arrivati nei vari villaggi sono state numerose le donne a parlare di mariti, madri o figli scomparsi. “Mio figlio non è un terrorista. E’ stato arrestato mentre stava lavorando nella sua fattoria” ha detto una di queste donne. Dal mese di novembre il governo birmano sta portando avanti un importante repressione contro la popolazione Rohingya, sono già 75.000 i profughi nei paesi vicini. Il governo guidato dal premio Noble per la pace Aung San Suu Kyi ha respinto la maggior parte delle accuse di violenze e bloccato l’ingresso di una missione ONU.
Sono numerosi i racconti di minori detenuti in condizioni difficili e senza aver accesso ad avvocati, o persone che dichiarano che i propri amici o famigliari siano stati uccisi, senza però voler fornire i propri nomi o troppi dettagli per paura delle rappresaglie. Lalmuti, una donna Rohingya di 23 anni ha descritto come i soldati abbiano chiuso suo padre in una casa e poi appiccato il fuoco all’edificio e bruciando vivo tutti quelli all’interno. In una conferenza stampa, un generale dell’esercito birmano ha però dichiarato che la maggior parte di queste testimonianze fossero dei falsi e ha accusato i media di dare informazioni sbagliate.
Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2017/07/burma-rohingya-villagers-tell-media-abuses-army-crackdown/#P0QELbyVZFGYDRZe.97
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