Rassegna settimanale 6-12 febbraio: Sudest asiatico
6 febbraio 2017, MALESIA – La Malesia cita documenti britannici per riaprire la disputa su Pedra Branca
La Malesia riapre la sua disputa territoriale con Singapore riguardo a Pedra Branca, un’isoletta piccola, ma in posizione strategica, che la Corte Internazionale dell’Aia riconobbe come appartenente a Singapore nel 2008.
Il Governo malese ha chiesto all’Aia un riesame della questione dopo aver avuto accesso a nuovi documenti dagli archivi britannici.
La questione potrebbe ulteriormente inasprire i rapporti tra i due Stati asiatici, ma il Governo malese si è dichiarato intenzionato a proteggere i suoi confini marittimi.
Fonte: Asian Correspondent
7 febbraio 2017, CAMBOGIA – La Cambogia mette al bando la bandiera taiwanese: rispettiamo la politica della “Unica Cina”
La Cambogia rispetta la “Politica dell’Unica Cina” promossa da Pechino; pertanto, il Primo Ministro Hun Sen, in un discorso presso la Cambodian-Chinese Association pubblicato sulla sua pagina facebook, ha dichiarato che, pur apprezzando gli investimenti taiwanesi in Cambogia e augurandosi che continuino, rispettare la sovranità cinese significa riconoscere che Taiwan è una provincia cinese. Pertanto, la bandiera taiwanese non sarà innalzata nel giorno della commemorazione della sua sovranità nazionale.
Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2017/02/cambodia-taiwan-flag-respect-one-china-policy/
8 febbraio 2017, INDONESIA – Intrappolati nel limbo: rifugiati chiedono reinserimenti più veloci da parte dell’ONU
In Indonesia ci sono circa 14000 persone, provenienti da Paesi dilaniati dalla guerra come Afghanistan, Iraq, Sudan e Somalia e registrate presso le Nazioni Unite, da anni in attesa di reinserimento da parte dell’UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees).
L’Australia, tradizionalmente un punto importante di reinserimento per i rifugiati arrivati nel Sudest Asiatico, rifiuta ora l’accoglienza a chiunque sia arrivato in Indonesia dopo il luglio del 2014.
Dopo due giorni di proteste, i rifugiati non sono ancora riusciti a incontrare o ottenere commenti da alcun rappresentante dell’ UNHCR.
Fonte: Asian Correspondent
9 febbraio 2017, BIRMANIA – Le vittime del giro di vite dell’esercito sui Rohingya potrebbero essere più di mille
Secondo due ufficiali ONU che si occupano di rifugiati e lavorano presso due diverse agenzie ONU in Bangladesh, il numero di Rohingya uccisi dall’esercito birmano potrebbe essere maggiore di quanto finora stimato. Si teme che le vittime siano più di mille, mentre sarebbero quasi 70000 i Rohingya fuggiti dallo Stato del Rakhine.
I dati ufficiali, diffusi dal portavoce presidenziale birmano, Zaw Htay, parlano di meno di cento vittime, cadute durante un’operazione dell’esercito volta a reprimere una rivolta dei militanti Rohingya contro i posti di polizia nella regione, lo scorso ottobre.
Più di un milione di musulmani vive, in Birmania, in uno stato di Apartheid, e viene loro negata la cittadinanza.
Si teme anche che siano stati commessi crimini contro l’umanità nella regione, come uccisioni di massa e stupri di gruppo.
Il governo birmano, che precedentemente aveva negato tutte le accuse che erano state formulate contro l’esercito, ha dichiarato, la scorsa settimana, che condurrà delle indagini. Pare tuttavia che il Governo non riesca a controllare le forze armate, anche a causa della Costituzione del Paese, redatta dal precedente Governo militare. Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace e vero potere dietro il Governo, è stata pesantemente criticata nel mondo occidentale per il suo silenzio sulla vicenda.
La maggior parte dei rifugiati Rohingya che sono arrivati in Bangladesh sono donne e bambini. Si sospetta che ragazzi e uomini tra i 17 e i 45 anni siano i principali bersagli dell’esercito birmano, che li considera una minaccia per le autorità.
Fonte: Reuters
9 febbraio 2017, FILIPPINE – Il Presidente colombiano dietro la caduta di Escobar avvisa Duterte: stai ripetendo i miei errori
César Gaviria, ex Presidente della Colombia, ha avuto un ruolo importante nella caduta del più famoso boss della droga del mondo, Pablo Escobar. Ora, dà alcuni consigli al Presidente filippino Rodrigo Duterte su come affrontare il problema della droga nel suo Paese. In un’intervista al New York Times, Gaviria ha spiegato come ricorrere alla violenza, uccidendo i sospetti e inviando truppe, non aiuterà Duterte a risolvere davvero il problema, facendogli invece “sprecare” moltissimi soldi e risorse. Imprigionare anche i criminali non violenti, inoltre, ha quasi sempre come conseguenza quella di consolidare il crimine organizzato. “L’ho imparato a mie spese”, ha dichiarato Gaviria. Gli sforzi congiunti di Gaviria e dei governi nordamericani e Europei hanno portato, nel 1993, alla caduta di Escobar, ma a costo di moltissime morti, sia tra i civili che nella classe politica, e esportando droga e crimine anche nei Paesi vicini.
Dall’ascesa al potere di Duterte, nel giugno del 2016, più di 7000 persone sono già state uccise nella sua guerra alla droga. Quasi la metà di queste morti sono avvenute per mani della polizia; le altre, si presume, per mano dei gruppi di vigilantes.
Secondo Gaviria, una vera riduzione nella domanda e nell’offerta di droghe si avrà più facilmente migliorando la sanità pubblica, rafforzando le misure anti-corruzione (soprattutto le misure contro il riciclaggio del denaro) e migliorando le ricerche a favore dello sviluppo sostenibile. Un altro metodo potrebbe essere de-criminalizzare il solo consumo di droghe, e regolare la diffusione di alcune sostanze, soprattutto quelle utilizzare per fini medici o ricreativi.
Fonte: Asian Correspondent
10 febbraio 2017, BIRMANIA – L’esercito crea il primo team per investigare sui presunti abusi nel Rakhine
L’esercito birmano ha formato un team per investigare sugli abusi che le forze di sicurezza avrebbero commesso nello stato del Rakhine.
Fonte: Asian Correspondent
12 febbraio 2017 – Report ONU: rischio aumento del terrorismo nel Sudest Asiatico nel 2017
Senza una effettiva collaborazione tra i Paesi dell’ASEAN, il terrorismo nel Sudest Asiatico continuerà a minacciare la regione, in particolare a partire da questo anno; molti foreign fighters iniziano infatti a lasciare il Medioriente, per tornare nei loro Paesi e continuare lì la loro campagna.
L’allarme è stato lanciato dalle Nazioni Unite in seguito all’aumento delle attività terroristiche dello scorso anno nella regione, e in particolare in Malesia, in Indonesia, nelle Filippine e in Tailandia. In Indonesia, ad esempio, nel 2016 gli arresti e le morti di sospetti terroristi sono più che raddoppiate rispetto al 2015. Nelle Filippine, invece, si registra un incremento nei bombardamenti e nella presa di ostaggi da parte di gruppi legati allo Stato Islamico.
Fonte: Asian Correspondent
(Featured Image Source: Asian Correspondent)