Rassegna settimanale 12-18 dicembre: Sud Est Asiatico

Rassegna settimanale 12-18 dicembre: Sud Est Asiatico

12 dicembre, Indonesia  – E’ cruciale assicurare un giusto processo per il governatore di Jakarta Ahok

Nel suo editoriale dell’11 dicembre,  The Jakarta Post ricorda alle autorità giudiziarie di prendere ogni possibile misura per garantire un equo processo per il governatore di Jakarta, Basuki “Ahok” Tjahaja Purnama.

La credibilità del sistema giudiziale del paese verrà sottoposta di nuovo ad esame quando la corte del Distretto Nord di Jakarta darà inizio al tanto atteso processo del governatore Basuki “Ahok” Tjahaja Purnama, accusato di blasfemia.

La prova che spetta alla commissione di giudici, che sarà presidiata dal capo giudice del distretto, Dwiarso Budi Santiarto, è considerevole data la crescente pressione popolare dopo due massicce manifestazioni nel mese scorso per chiedere che il il governatore cristiano e sino-indonesiano, fosse imprigionato per le sue parole che secondo i protestanti sarebbe insulti all’Islam.

Bisogna ricordare che la polizia ha dichiarato che Ahok fosse sospettato solo dopo la manifestazione del 4 novembre. E a quanto riportato non sarebbe stata una decisione presa all’unanimità. Più tardi in giornata, il presidente Joko “Jokowi” Widodo, ha ordinato alla polizia di portare avanti una rapida e trasparente indagine per questo caso di blasfemia.

Consapevoli della pressione mediatica, le forze dell’ordine hanno lavorato prontamente, ed il prosecutore statale ha consegnato il dossier del caso al tribunale dopo due settimane, il primo dicembre. La vigilia della seconda protesta.

Non si può non negare che l’investigazione e l’accusa di Ahok sia il frutto della costante pressione popolare, che comprende vari gruppi con interessi diversi e uniti solo dall’interesse comune.

La polizia ha arrestato diverse persone e accusandole di aver complottato per usare le manifestazioni per rovesciare il governo.

Il procuratore generale Muhammad Prasetyo ha smentito le accuse di pressione popolare, spiegando che le forze dell’ordine hanno lavorato in tempi brevi per rispondere alle attese del pubblico il più velocemente possibile, sostenendo i principi di un rapido, semplice ed economico processo, che per ora non è avvenuto.

Nonostante tutto ciò gli oppositori di Ahok non sono soddisfatti, hanno apertamente questionato la decisione delle forze dell’ordine di non aver arrestato il governatore, ora diviso tra la sua scommessa di vincita delle elezioni di febbraio ed il processo. Alcuni si spingono fino ad affermare che un’assoluzione di Ahok metterebbe a rischio l’unità nazionale.

Il consiglio di Prasetyo e la polizia di Jakarta di spostare le testimonianze da Gadjah Mada, dal centro della città alla remota location di Cibubur, ad est di Jakarta, testimonianza delle difficoltà che devono fronteggiare le forze dell’ordine nel garantire la sicurezza e il buon svolgimento del processo.

Dovunque siano raccolte le testimonianze, la sicurezza è un elemento centrale per permettere alla commissione di giudici, ed ai testimoni, di rimanere indipendenti ed attenersi ai fatti. Ahok può solo essere colpevole sulla base dei fatti, piuttosto che sulla base delle intimidazioni che hanno portato lo stesso ad essere accusato.

Per garantire ancora di più un equo processo, la Corte Suprema dovrebbe prendere in considerazione l’avvertimento della commissione giudiziaria, che la trasmissione in diretta del processo, potrebbe portare ad interferenze da parte dell’opinione pubblica e compromettere così l’indipendenza e l’integrità dei giudici.

Fonte: The Straits Times http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/crucial-to-ensure-fair-trial-for-jakarta-governor-ahok-the-jakarta-post

13 dicembre, Thailandia – Il Re pronto a perdonare 150 000 detenuti

Il nuovo re thailandese Maha Vajiralongkorn accorderà la grazia o commuterà le sentenze di 150 000 detenuti. Il nuovo sovrano è asceso al trono il 1° dicembre dopo la morte di suo padre, Bhumibol Adulyadej avvenuta il 13 di ottobre. La Gazzetta reale commenta che questo evento è la prima opportunità per il nuovo monarca di dimostrare la sua misericordia.

Potranno beneficiare di una riduzione della pena o addirittura di un perdono reale, i prigionieri che sono stati processati per insulto alla monarchia o reati di droga, spiega Kobkiat Kasivivat direttore generale del Dipartimento delle Correzioni. Saranno prese in considerazione la gravità delle accuse, gli anni di prigionia già scontati e l’età.

La popolazione carceraria thailandese è esplosa negli ultimi anni, ciò è dovuto alle rigide leggi in materia di droghe. Sui 321 347 prigionieri all’incirca il settanta percento si trova dietro le sbarre per reati di droga.

Fonte: Asian Correspondent, https://asiancorrespondent.com/2016/12/thai-king-pardon-150000-inmates/

14 dicembre, Birmania –  Il governo vuole provare che i Rohingya non sono indigeni birmani

Il ministero degli Affari Religiosi e della Cultura birmano, con la collaborazione di vari storici, sta lavorando su un trattato per provare che la comunità dei Rohingya non è nativa del paese. Una volta redatto questo documento sarà presentato al capo di stato, Htin Kyaw, e del consigliere statale Aung Sang Suu Kyi – premio Nobel per la pace nel 1991- ed in caso di approvazione, verrà pubblicato e messo in vendita per il pubblico.

Nei documenti storici usati, di cui alcuni risalgono all’epoca coloniale britannica, non vi è la presenza della parola Rohingya. Il suo primo utilizzo risalirebbe al 20 novembre 1948 e sarebbe da attribuire ad un membro del parlamento bengalese. Infatti secondo un quotidiano birmano, nel mese di maggio il governo dichiarò che i Rohingya sono originari del Bangladesh e che vennero mandati in Birmania dopo la prima guerra anglo-birmana del 1824. Questa non è la prima volta che il governo birmano nega l’esistenza del termine “Rohingya”

Questo trattato screditerebbe anche Kofi Annan, ex segretario generale delle Nazioni Unite e premio Nobel per la pace nel 2001 nonché presidente della commissione consultiva per lo stato di Rakhine. Quest’ultimo, stando al trattato, avrebbe dichiarato che non ci furono né violenze, né genocidi e nessun Rohingya durante la sua visita del 6 dicembre. Inoltre, viene portata avanti la tesi per la quale l’attuale attenzione rivolta alla minoranza, servirebbe a promuovere “l’agenda Rohingya”.

Secondo alcune fonti dopo le repressioni dell’esercito birmano ci sarebbero tra gli 86 e 150 morti e 30 000 sfollati tra i Rohingya. Al momento il governo birmano non concede a nessun giornalista e a nessun gruppo di aiuto internazionale di recarsi sui luoghi. Ai Rohingya non vengono riconosciuti i diritti più basilari quali la cittadinanza, il matrimonio, libertà religiosa e l’educazione.

Fonte: Asian correspondent, https://asiancorrespondent.com/2016/12/burma-rohingya-indigenous/

15 dicembre – Filippine, Washington sanziona Manila per la sua guerra alla droga

La Millennium Challenge Corporation (MCC), un organo di governo americano, non ha voluto rinnovare il suo programma di aiuti allo stato delle Filippine. La MCC ha come scopo di promuovere la crescita economica e lottare contro la povertà. Il precedente programma di aiuti durò cinque anni e l’ammontare degli aiuti economici fu di ben 433,9 milioni di dollari.

Il motivo del mancato rinnovo è la guerra alla droga in atto all’interno del paese, voluta e promossa dal Presidente filippino Rodrigo Duterte. Secondo l’organo americano il clima di violenza generalizzata metterebbe in pericolo lo stato di diritto. Le relazioni tra Filippine e Stati Uniti al momento sono precarie: Washington ha già criticato la repressione contro la criminalità del presidente Duterte, quest’ultimo reagì alle accuse dando pubblicamente del “figlio di puttana” a Barack Obama. Inoltre, il presidente filippino è in cerca sempre più esplicitamente di un avvicinamento alla Russia e alla Cina.

La guerra alla droga è già costata la vita a più di 5000 persone. 2086 di queste, sono state uccise dalla polizia durante le loro operazioni mentre altre 3000 sono morte in circostanze ancora da chiarire. Secondo un sondaggio, il settantasette percento della popolazione approva questa politica del presidente, dichiarando che è l’unica strada percorribile così che il paese non diventi un narco-stato.

Fonte: Le Monde, http://www.lemonde.fr/asie-pacifique/article/2016/12/15/washington-sanctionne-manille-pour-sa-guerre-contre-le-trafic-de-drogue_5049444_3216.html

16 dicembre – Filippine, Duterte promette che la guerra alla droga non finisce qui

In un discorso rivolto ai filippini residenti a Singapore, il presidente Rodrigo Duterte, ha confermato di aver personalmente ucciso tre uomini quand’era sindaco di Davao. Il suo discorso è stato acclamato dalle 6 500 persone presenti. Inoltre ha fatto sapere che la guerra alla droga andrà avanti per i sei anni del suo mandato presidenziale.

Duterte ha vinto l’elezione presidenziale con relativa facilità e la sua promessa di eradicare il commercio della droga fu l’elemento cardine del suo programma. L’ondata di repressione è già costata la vita a 5 000 persone. Le rivelazioni di Duterte sui suoi presunti omicidi sono state vivamente criticate dalla Casa Bianca e da vari gruppi per i diritti.

Lo stato filippino ha posto varie restrizioni ad un’eventuale visita da parte degli investigatori delle Nazioni Unite. Quest’ultimi ritengono le restrizioni del governo inaccettabili. In risposta il ministro degli affari esteri, Perfecto Yasay, ha fatto sapere che in caso di rifiuto, non sarebbe stata permessa nessuna visita.

Il capo dello stato insiste sul fatto che le forze di sicurezza non stiano violando nessuna legge nel condurre la guerra alla droga e tutte le uccisioni sono avvenute in quanto legittima difesa. Per di più il ministro della giustizia ha fatto sapere che il presidente Duterte non ha infranto nessuna legge e che i suoi presunti omicidi sarebbero anch’essi il risultato di legittima difesa.

Fonte:  The Guardian https://www.theguardian.com/world/2016/dec/16/duterte-vows-to-continue-war-on-drugs-after-killing-confession

17 dicembre, Mar Meridionale cinese – Vietnam e Malesia preoccupati della militarizzazione cinese all’interno del Mar Meridionale cinese

Gli stati del Vietnam e della Malesia hanno espresso le loro preoccupazioni successivamente ad un rapporto secondo il quale la Cina starebbe attivamente militarizzando varie isole del Mar Meridionale cinese.

Il Ministro della difesa malese ha fatto sapere che scriverà al Ministro della difesa cinese per chiedere dei chiarimenti. Il governo malese teme che possibili incidenti in alto mare e le continue militarizzazioni non facciano altro che aumentare le tensioni. Inoltre, se le notizie riportate si rivelassero esatte, la Malesia sarebbe costretta rispondere “respingendo” la Cina.

Dal canto suo, il Ministro degli esteri vietnamita ha fatto sapere che è molto preoccupato da questa informazione e ha riaffermato le rivendicazioni del suo paese sulle le isole Spratly.

Fonte: The Straits Times, http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/malaysia-to-seek-clarification-from-china-on-reports-of-military-deployment-in-south

18 dicembre – Sud-est asiatico, l’ISIS potrebbe tentare di impiantare una sua base nella regione dell’ASEAN

Secondo il Ministro della difesa malese il gruppo terroristico dello Stato Islamico starebbe cercando di introdursi nella regione del sud-est asiatico. L’ISIS essendo in difficoltà e sotto pressione costante, potrebbe guardare alla regione dell’ASEAN per la propria sopravvivenza.

Il Ministro sottolinea che per queste ragioni è importante proseguire ed approfondire la cooperazione tra i paesi ASEAN. Un esempio di cooperazione è l’accordo trilaterale tra Malesia, Indonesia e Filippine per pattugliare il mare e svolgere esercizi congiunti.

Fonte: The Straits Times, http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/isis-may-set-up-terror-base-in-asean-region-warns-malaysias-defence-minister

Featured Image Source: Asian Correspondent