Rassegna settimanale 7 -13 novembre: Giappone e Corea del Sud
7 Novembre 2016 – Park rinuncia alla controversa nomina del primo ministro e accetta la richiesta dell’opposizione, il gabinetto avrà più poteri
Martedì la presidente Park ha richiesto la nomina di un nuovo candidato a Primo ministro, accettando le critiche dell’opposizione nei confronti del precedente candidato Kim Byong-joon.
Ha anche accettato di delegare al Primo ministro la maggior parte dei compiti in materia di affari di stato, riducendo così i propri poteri. “Oggi mi sono incontrata con il presidente della Camera (Chung) perchè credo che sia mio dovere normalizzare gli affari di Stato”, ha detto Park in un raro incontro con il capo del legislativo, Chung Sye-kyun. “Se attraverso un accordo tra i vari partiti l’Assemblea Nazionale dovesse scegliere un valido candidato, lo nominerò Primo Ministro e avrà praticamente il controllo del Gabinetto”.
La mossa della Park nell’accettare di dare al legislativo il diritto di nomina è stato genericamente riconosciuto come il suo acconsentire alla creazione di un “Gabinetto neutro”. Proposta nei giorni scorsi sia dal partito di governo che dalle opposizioni, l’espansione dei ruoli del Gabinetto è considerata la soluzione all’attuale stallo della politica del paese e la miglior alternativa alle sciagurate dimissioni presidenziali.
La sorprendente visita del presidente arriva due settimane dopo che durante una seduta regolare del Parlamento, aveva proposto una riforma costituzionale. Riforma che è stata subito oscurata dalle notizie del caso di corruzione che vedeva coinvolta la confidente presidenziale, Choi Soon-sil.
Questa è stata anche la prima volta che il presidente ha visitato il Parlamento senza ulteriori motivi, il che sembra riflettere il timore che la Park ha nei confronti della poca fiducia pubblica nella sua amministrazione.
Park si è fatta accompagnare dal suo nuovo capo dello staff, Han Gwan-ok e dal consigliere politico Hur Won-jae che l’altro giorno avevano mediato tra il presidente e i partiti di opposizione.
“Ritengo che il presidente abbia preso una decisione difficile (nel venire all’Assemblea)”, ha detto il presidente della Camera Chung. “Spero che (Park) riconosca l’opinione pubblica che si è manifestata nelle fiaccolate avvenute nel corso del weekend, e che sfrutti questa crisi come un trampolino per migliorarsi”.
“Al momento stiamo cercando la cooperazione dell’opposizione in modo da rompere questa situazione di stallo” ha riferito questa mattina ai giornalisti il portavoce presidenziale Jung Youn-kuk.
Le spiegazioni di Jung sono susseguite a un post su Facebook dell’onorevole Park Jie-won, presidente a interim del secondo partito di opposizione, il Partito del Popolo.
“Secondo l’ufficio della presidenza, il presidente farà visita all’Assemblea oggi alle 10:30. Non andrò”, ha scritto il politico al suo quarto mandato.
Il suo commento riflette il conflitto politico che si era creato intorno alla decisione della Park di nominare a Primo Ministro Kim Byong-jun, che aveva fatto parte della cerchia del defunto presidente liberale Roh Moo-hyun.
Nonostante Kim fosse considerato un candidato valido, accettato sia dal partito di governo che di opposizione, la sua nomina è stata contestata perché giunta inaspettatamente e senza previa consultazione dei partiti politici.
In accordo alla loro precedente dichiarazione, i tre partiti di opposizione (il Partito Democratico di Corea, il Partito del Popolo e la minoranza progressista del Partito di Giustizia) hanno organizzato una protesta all’arrivo del presidente.
La loro opinione era che la visita del presidente Park all’Assemblea nonostante il contrasto fosse solo una messinscena politica.
“Il presidente non ha fatto il minimo accenno a rinunciare ai suoi poteri, nonostante sia la questione più cruciale al momento”, ha detto il portavoce del Partito Democratico Park Kyung-mee.
Il portavoce del Partito del Popolo, l’onorevole Son Kum-ju, ha addirittura sospettato che la visita del presidente fosse stata calcolata in modo da far sembrare che l’opposizione stesse rendendo difficile la comunicazione.
I più espliciti sono stati i rappresentati del Partito della Giustizia che hanno chiesto le dimissioni del presidente.
“L’unico modo per lei di scusarsi con il pubblico e di ripristinare gli affari di stato è tramite le dimissioni del presidente”, ha detto il portavoce del partito Chu Hye-seon.
Il Partito Saenuri, il partito di governo, nella voce del sostenitore del presidente il presidente del consiglio Lee Jung-hyun, era l’unico a spalleggiare la mossa del presidente.
“Il presidente ha capito e ha risposto alla richiesta di un gabinetto neutro”, Lee ha dichiarato ai giornalisti. “Inoltre, la sua visita rappresenta un forte segno della sua risolutezza a risolvere a tutti i costi la corrente situazione di stallo”.
Alcuni membri del partito hanno affermato che la decisione del presidente è stata un gesto significativo, anche se non del tutto sufficiente agli occhi dell’opinione pubblica.
“Il presidente ha riconosciuto il suo errore nello scegliere un candidato Primo ministro e ha esposto un modo per cercare di risolvere la situazione”, ha detto l’onorevole “Yoo Seong-min attraverso un comunicato stampa. “E’ il momento che i partiti lavorino insieme per risolvere la questione dei poteri del Gabinetto e la sua imminente formazione, nonché la costituzione di una commissione indipendente (per indagare lo scandalo Choi).”
Fonte: Koreaherald http://www.koreaherald.com/view.php?ud=20161108000715
8 Novembre, Il Giappone e gli Stati Uniti affrontano la prima esercitazione militare congiunta sotto l’egida della nuova legge sulla sicurezza
NAHA – Lunedì le Forze di autodifesa (FAD) giapponesi hanno condotto con le forze militari statunitensi la prima esercitazione che simula i nuovi compiti permessi dalla legge sulla sicurezza entrata in vigore quest’anno.
L’esercitazione è iniziata vicino alla prefettura di Okinawa, basandosi su un ipotetico scenario in cui le FAD devono salvare i soldati americani di un aereo abbattuto in mare durante un attacco all’estero che minaccia significativamente la pace e la sicurezza del Giappone.
In passato il personale delle FAD poteva andare in soccorso dei soldati americani nelle aree limitrofe al Giappone in caso di evenienza; con la nuova legge, tuttavia, le FAD potranno lavorare al fianco delle forze americane anche in aree più vaste del globo se necessario.
Sebbene le FAD avessero già preso parte a esercitazioni per missioni a cui potranno partecipare durante le operazioni di mantenimento della pace dell’ONU secondo la nuova legge sulla sicurezza, non aveva ancora effettuato esercitazioni che simulassero aiuti alle forze americane durante un conflitto nelle aree non “limitrofe al Giappone”.
La legge sulla sicurezza, entrata in vigore a marzo, ha anche esteso il ruolo del Giappone nel fornire supporto logistico a Paesi terzi al fianco degli Stati Uniti, che sono il principale alleato del Giappone in materia di sicurezza, quando la pace e la sicurezza del Giappone siano considerate in pericolo.
In caso tali circostanze venissero a presentarsi, il Giappone sarebbe in grado di fornire carburante e altre scorte, escluse le armi, a forze militari straniere in zone libere dai conflitti.
Le esercitazioni di lunedì si sono tenute nelle acque dell’Isola di Ukibaru e saranno seguite da delle esercitazioni su più larga scala mercoledì che la stampa non potrà documentare.
Le esercitazioni di mercoledì si baseranno su un ipotetico scenario che vede i due paesi impegnati a soccorrere un certo numero di dispersi in mare utilizzando gli aereo, incluso un idrovolante giapponese.
Le esercitazioni fanno parte di Keen Sword, un’esercitazione congiunta lanciata il 30 ottobre che coinvolge 25,000 membri delle FAD e 11,000 soldati americani.
Le FAD hanno iniziato ad allenarsi ad agosto per riuscire ad adottare alcuni cambiamenti dettati dalla nuova legge sulla sicurezza, attraverso la quale il governo giapponese spera che il Paese possa ricoprire un ruolo di maggior rilievo nelle operazioni di sicurezza regionale e negli sforzi internazionali per il mantenimento della pace.
Nonostante la nuova legge, però, le FAD subiscono delle limitazioni nell’uso delle armi oltreoceano rispetto ad altri eserciti, poiché la Costituzione giapponese vieta l’utilizzo delle armi come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali.
Fonte: JapanToday https://www.japantoday.com/category/national/view/japan-u-s-carry-out-1st-joint-exercise-under-new-security-law
9 Novembre, [ERA TRUMP] L’FTA tra Corea del Sud e USA è messo inaspettatamente in pericolo
L’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America potrebbe mettere a serio rischio il trattato sul libero scambio (Free Trade Agreement) tra Corea del Sud e Stati Uniti.
Trump ha ripetutamente e attaccato il patto come “catastrofico” e “ingiusto” nei confronti degli Stati Uniti.
“Hillary nel 2011 ha portato avanti con la Corea del Sud un trattato sugli scambi che ammazzerà il lavoro”, ha dichiarato Trump ad un comizio elettorale a Ashburn, in Virginia il 2 agosto. “Quell’accordo sud coreano è un disastro per noi”.
Trump ha anche detto che la Corea del Sud si beffava degli Stati Uniti con quel patto.
“Il patto di Hillary con la Corea del Sud ci verrà a costare 100.000 posti lavoro”, ha nuovamente dichiarato a un comizio in Nevada il 5 di ottobre. “Vi ricordate? In teoria doveva essere un buon patto. Invece ci viene a costare posti di lavoro, un numero spropositato di posti di lavoro. La Corea del Sud, come quasi tutti gli altri paesi, sta ridendo della nostra idiozia”.
Trump, inoltre, sostiene che l’accordo possa distruggere l’industria delle auto.
“Hillary Clinton ha sponsorizzato e fatto opera di lobbying per l’accordo sugli scambi con la Corea del Sud, sapete di quale parlo, che invece si è rivelato un disastro, con la promessa di creare 75.000 nuovi posti lavoro”, ha dichiarato a fine ottobre Trump durante una campagna in Ohio uno dei paesi della cosiddetta “cintura arrugginita” in cui l’economia è in declino. “Quel patto, invece, ne ha distrutti 100.000 di posti di lavoro, la maggior parte nell’industria automobilistica”.
Ci si aspetta che Trump cerchi una ri-negoziazione dell’accordo qualora venga eletto alla Casa Bianca. Sebbene lui non si sia ancora dichiarato a riguardo, gli assistenti hanno da tempo fatto capire che l’agente immobiliare vuole rivalutare, o addirittura tornare a un “punto-zer”, la questione degli accordi di libero scambio.
L’accordo sul libero scambio tra Corea e Stati Uniti, negoziato minuziosamente, è entrato in vigore nel 2012 ed è stato largamente considerato come un simbolo dell’alleanza economica tra i due paesi. Dei tentativi di rivisitarlo o ri-negoziarlo potrebbero scaturire in tensioni diplomatiche.
La Commissione Americana per gli Scambi Internazionali (ITC) in un report di giugno ha rivelato che l’accordo tra i due paesi è stato un bene per gli interessi americani, poiché pare aver migliorato i bilanci degli scambi bilaterali di merci di 15.8 miliardi di dollari l’anno scorso.
Fonte: Korea Times, http://www.koreatimes.co.kr/www/news/nation/2016/11/120_217864.html
10 Novembre, Abe organizza subito un incontro con Trump a New York
Il giorno successivo all’elezione shock di Donald Trump, il Presidente eletto e il Primo ministro Abe hanno avuto una conversazione telefonica di 20 minuti e si sono accordati per un incontro il prossimo 17 Novembre, probabilmente a New York.
Abe si è congratulato con Trump e ha detto che è convinto che “l’America sarà ancora più forte” sotto la sua leadership.
In risposta, Trump si è congratulato con Abe per i suoi obiettivi economici e si è detto pronto a collaborare nei prossimi anni nell’ottica di rafforzare la partenership fra i due Paesi. Abe è stato il quarto leader mondiale a parlare con Trump dopo la vittoria.
Prima delle elezioni, Abe aveva incontrato a settembre il Segretario Hilary Clinton, ma non aveva visto Trump.
Dopo la vittoria del tycoon, funzionari dell’ufficio del Primo ministro, hanno cercato di minimizzare gli aspetti negativi della campagna elettorale di Trump, il quale più volte aveva definito ingiusto il trattato di sicurezza con il Giappone. Abe ha basato tutta la sua politica estera sul rapporto privilegiato con il Stati Uniti.
“Noi crediamo che quello che un candidato afferma durante la campagna elettorale è differente da quello che in verità farò dopo aver assunto le funzioni” dichiara un funzionario. “Ci possono essere delle divergenze su alcune questioni specifiche, ma la base della relazione fra i due Paesi non cambierà”.
Durante l’infuocata campagna presidenziale, Trump aveva ripetutamente dipinto il Giappone come un rivale commerciale e che il governo di Tokyo dovrà farsi carico per intero del mantenimento delle basi americani presenti sul suolo giapponese.
Trump ha minacciato di ritirare le truppe USA da Giappone e Corea del Sud, mossa che cambiarebbe drasticamente gli equilibri militari in Asia Orientale e nel mondo intero.
“Il Giappone è meglio se si difende da solo contro la minaccia nordcoreana”, ha affermato Trump alla CNN nel mese di marzo. “Si devono proteggere da soli o ci devono pagare”.
L’alleanza militare con gli Stati Uniti è sempre stata alla base della politica estera del Giappone, visto che il Giappone sta tentando di contenere l’espansione militare cinese nel Mar Cinese Orientale e Meridionale e fermare lo sviluppo nucleare e di missili balistici di Pyongyang.
Se Trump terrà fede a quanto detto in campagna elettorale, sarà un duro colpo per il Giappone e l’intera regione.
Abe, nel corso della telefonata con Trump, ha affermato la centralità dell’alleanza, ma durante la conversazione non sono stati affrontati temi sensibili come la difesa e le questioni commerciali, come il Trans-Pacific Partnership.
Alla domanda se i due leader discuteranno di tali questioni, il capo di gabinetto di Abe, Yoshihide Suga, ha affermato che la prima cosa è quella di costruire fiducia reciproca prima di affrontare ogni altra questione. “I due leader si sono soltanto accordati per un incontro, è importante costruire una fiducia reciproca”.
Fonte:JapanTimes http://www.japantimes.co.jp/news/2016/11/10/national/politics-diplomacy/abe-trump-look-meet-next-week-new-york/#.WCmaGXtsfL8
11 Novembre,Un giornalista giapponese nega di essere un simpatizzante dell’ISIS
TOKYO – Martedì un giornalista giapponese deportato dall’Iraq ha negato le accuse lanciate dagli ufficiali Curdi secondo cui sarebbe un simpatizzante dello Stato Islamico.
Tornato a Tokyo, Kosuke Tsuneoka ha raccontato ai giornalisti che si trovava a Mosul solo per documentare in qualità di giornalista la battaglia per riprendere la città in mano all’ISIS. Le truppe irachene e curde stanno ancora combattendo per espellere i militanti dell’ISIS dalla città.
“Lasciate che vi rammenti che non sono un membro dell’ISIS, nemmeno un simpatizzante”, ha detto il musulmano convertito che si fa anche chiamare Shamil Tsuneoka. “Sono profondamente contro la fede dell’ISIS…Quello non è l’Islam in cui credo.”
Tsuneoka, un giornalista che ha seguito i gruppi militanti nel Medio Oriente, è stato arrestato il 27 ottobre dopo che durante un controllo di sicurezza gli è stata trovata addosso un portachiavi con un simbolo dello Stato Islamico. Ha detto che gli è stata data da un passeggero di un bus durante uno dei suoi precedenti viaggi. La teneva sperando di riuscire a rintracciarne la provenienza.
Ha dichiarato che è meramente colpa della sua “stupidità” se ha lasciato il portachiavi in una borsa che poi ha consegnato per il controllo sicurezza. È stato ammanettato sul posto e preso in custodia per un interrogatorio da parte degli agenti dei servizi segreti curdi. “Ovviamente, dovevo apparargli come un membro dell’ISIS che cercava di infiltrarsi a una conferenza stampa”.
Il Consiglio di Sicurezza della Regione del Kurdistan lo ha accusato di essere affiliato al gruppo dello Stato Islamico. Hanno fatto sapere che da un’indagine è emerso che Tsuneoka avrebbe contattato dei membri dell’ISIS con il suo telefono e avrebbe anche postato delle foto che provano il suo nesso con i miliziani sui social media.
Tsuneoka ha detto che i curdi volevano sapere da lui i dettagli delle comunicazioni. L’autorità del Kurdistan lo ha rilasciato al Ministero degli Esteri giapponese per la deportazione e con il suo caso ancora aperto.
Tsuneoka spera di essere presto prosciolto da ogni accusa così da poter tornare a Mosul e riprendere il suo lavoro di giornalista nonostante tutto quello che ha passato. Ha detto che era l’unico reporter giapponese sul posto e che per questo sentiva il compito di dover informare i giapponesi su cosa succede in quelle zone.
“Spero di poter ritornare” ha detto Tsuneoka. “Qualcuno deve continuare a raccontare cosa succede”.
Fonte: JapanToday https://www.japantoday.com/category/national/view/japanese-journalist-denies-allegation-he-is-is-sympathizer
12 Novembre, Un milione di manifestanti invadono le strade di Seul chiedendo le dimissioni di Park
Era una folla senza fine. Dalle 19:30 di sabato, all’incirca un milione di persone si sono riunite a Gwanghwamun, nel centro di Seul, per richiedere, secondo gli organizzatori della manifestazione, le dimissioni della presidentessa Park Geun-hye.
Persone di ogni strato sociale intonavano “Park dovrebbe dimettersi”, durante un’incredibile manifestazione contro la presidentessa che al momento è sotto i riflettori per uno scandalo di corruzione-ingerenza che coinvolge la sua amica Choi Soon-sil. La polizia stima che fossero presenti circa 200.000 persone.
È stata la più grande manifestazione degli ultimi 30 anni, più grande di quella del 2008 contro l’allora presidente Lee Myung-bak che voleva importare la carne dagli Stati Uniti nonostante il pericolo della mucca pazza.
Dalle due del pomeriggio Seul Plaza è stata affollata di cittadini inclusi lavoratori sindacali, studenti, agricoltori e molti altri. Dopo l’inizio della manifestazione, alle 16, le persone si sono divise e hanno raggiunto altre zone del centro di Seul incluse Jongno, Euljiro, Myeong-dong, Seodaemun and Sungnyemun. Verso le 19, i cortei hanno iniziato a confluire verso una destinazione comune: Cheong Wa Dae, l’ufficio presidenziale.
Come nelle precedenti manifestazioni pacifiche, le persone sono andate con le proprie famiglie, in coppia e con gli amici. Siccome il traffico intorno al Municipio si è paralizzato, le persone hanno camminato dalle stazioni di Euljiro e Gyeongbokgung. Stand medici sono stati organizzati qua e là in caso di possibili incidenti grazie ai medici e alle infermiere che si sono resi volontari.
“Ho portato con me i miei figli per mostrargli ciò che è giusto”, ha detto Lee Dong-woo, 42, un impiegato di Seul che ha partecipato alla manifestazione con la moglie e i due figli di sette e cinque anni. “Ho spiegato la situazione ai miei figli e loro mi hanno detto che avrebbero scritto un poster in cui chiedevano alla presidentessa di scusarsi per i suoi errori”.
Un membro dello staff di un’università, Yoo Yong-sil, 46 anni, ha partecipato alla manifestazione insieme alla figlia sedicenne Yoo Hyo-jin che trasportava un cartello fatto da lei. “Sono venuto dopo aver finito in anticipo una lezione in un’accademia privata”, ha detto. “Credo che il destino della nazione sia molto più importante dei miei studi al momento”.
Nemmeno gli studenti liceali che si stanno preparare per il test di abilità scolastica del college (CSAT) hanno fatto eccezione. “Anche se il CSAT è la prossima settimana, dovevamo venire per chiedere alla presidentessa di dimettersi”, ha dichiarato Yun Hui-yeong, 18 anni, di Gunpo, nella provincia di Gyeonggi. “Sono venuta senza dirlo ai miei genitori”.
Ma non si protestava solo per lo scandalo di corruzione. I lavoratori sindacali sono venuti a Seul in autobus per far sentire la propria voce contro le politiche del governo sul lavoro.
“Siamo molto dubbiosi verso il sistema dei salari basato sulle performance dei lavoratori perché non ci sono standard oggettivi su cui calcolare il rendimento di un lavoratore”, ha detto un lavoratore di cognome Kim, 29 anni, che lavora a Daegu per la Korea Gas Corporation. Sono arrivati questo pomeriggio e staranno qui fino alla fine della manifestazione.
Per gli studenti che si specializzano in storia, il problema dei libri di testo autorizzati dal governo è ancora caldo. “Il cartello che porto oggi è lo stesso che ho usato l’anno scorso quando la Park ha annunciato la sua scelta” ha detto Choi Hong-byun, 28 anni, che sta frequentando un master in un’università che si concentra sulla storia coreana. “Molte decisioni statali sono state prese sotto l’influenza di Choi Soon-sil, magari la politica dei libri di testo è una di quelle”.
Per i genitori, l’ingiusta ammissione al college di Choi Yoo-ra, la figlia di Choi Soon-sil, è stato un altro buon motivo per unirsi alla manifestazione.
“Spero che la nostra società sarà eguale per tutti”, ha detto Lee Hyo-jeong, 33 anni, di Suwon. Abbracciando la sua bambina di tre anni, ha dichiarato che la sua vita si è deteriorata sotto l’amministrazione della Park. “Ho la sensazione che la nostra società si stia polarizzando mentre il sistema di welfare si deteriora”.
Studenti stranieri qui in Corea hanno preso parte alla manifestazione mentre si spostava verso Cheong Wa Dae. “Ho letto qualche articolo di giornale ed ero curioso di venire a vedere cosa stava succedendo” ha detto Jasmijn Broerze, 22 anni, uno studente olandese che studia all’Università Nazionale di Seul (SNU). “Ci sono manifestazioni in Olanda ma nessuna di così grande portata”. Broeze si è unito alla manifestazione insieme ad altri studenti stranieri dalla Germania e dalla Spagna.
Gli agricoltori hanno marciato da Municipio a Gwanghwamun con un catafalco sulle spalle. Al posto di gridare gli slogan, hanno intonato i lamenti tipici dei funerali coreani. “Questa è la morte politica della Park”, ha spiegato un agricoltore, Choi Yong-cheol, 65, di Daejeon.
“Il prezzo del riso è il 20% di quello del cibo per cani. L’agricoltore Baek Nam-ki è morto chiedendo che la Park rispetti la promessa di aiutare l’agricoltura. La sua morte è ora una mia responsabilità”. Secondo l’istituto di statistica della Corea, il prezzo del riso quest’anno è sceso ai livelli di 21 anni fa.
Accanto ai catafalchi, musicisti e comici famosi si esibivano sui palchi. La folla ha accolto la leggendaria band rock Crying Nut con un’ovazione.
“Sembra di essere a un festival” ha detto Jeon In-eui, 27 anni, che ha partecipato alla manifestazione con il suo amico Ji Moon-so, 27. Quando la band ha cantato il loro pezzo più famoso, “Run the Horse”, la folla ha iniziato a saltare come se fosse a un concerto. “Sono venuto anche settimana scorsa e sono felice di aiutare a far sapere alla gente della manifestazione pacifica” ha detto Ji.
Mentre 100.000 persone sono arrivate nella capitale dalle varie province, centinaia di migliaia di persone si sono riversate in piazza nelle principali città della nazione; 35.000 a Busan, 10.000 a Gwangju, 4.000 a Daegu e 5.000 all’Isola di Jeju, secondo gli organizzatori.
Fonte: KoreaTimes, http://www.koreatimes.co.kr/www/news/nation/2016/11/116_218065.html
13 Novembre, Il Giappone tiene le porte chiuse: richiedenti asilo bloccati nel limbo
TOKYO – Tre anni dopo aver lasciato la sua casa ad Aleppo per scappare dalla guerra civile, Ismael, un richiedente asilo siriano in Giappone, non pensa che la sua vita sia cambiata in meglio.
Dopo essersi visto rifiutato lo status di rifugiato, e non essendo così in grado di riunirsi con la famiglia, il 30enne che non vuole rendere noto il suo cognome per ragioni di sicurezza, ha dichiarato che gli sembra di camminare in “un’oscurità” senza fine, mentre cerca di tirare avanti con un lavoro mal pagato in Giappone invece di continuare la sua vecchia professione di meccanico d’auto.
“La mia casa è distrutta e non ho un posto in cui ritornare…Ogni giorno, penso che impazzirò”, ha dichiarato Ismael con voce rotta. “Voglio sentire le voci di mia moglie e dei miei due figli. Voglio vivere con loro”, ha detto a proposito della sua famiglia che vive in un campo profughi in Turchia.
Dopo che la sua richiesta d’asilo è stata negata, gli è stato concesso di rimanere per un anno in Giappone per ragioni umanitarie e lavorare legalmente. Tuttavia, contrariamente a chi ha lo status di rifugiato, è quasi impossibile per lui poter portare la famiglia in Giappone, tranne che per “casi estremamente particolari” che sono resi possibili grazie agli immensi sforzi diplomatici degli avvocati e dei gruppi di supporto.
Nel mezzo della più grande crisi umanitaria dalla Seconda Guerra Mondiale, il Giappone nel 2015 ha donato 173 milioni di dollari all’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, diventando il quarto donatore dopo gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Unione Europea. Fino al 2013, era il secondo maggior donatore dopo gli Stati Uniti.
Al summit dell’ONU sui Rifugiati e i Migranti di settembre, il primo Ministro Abe, dopo le forti critiche alle politiche sui rifugiati del Paese, aveva chiesto di ricevere 2.8 miliardi di dollari di aiuti per i rifugiati e i migranti da distribuire in tre anni a partire dal 2016, e aveva promesso di accettare 150 siriani come studenti stranieri per i prossimi cinque anni.
Delle 7.586 richieste di asilo presentate, solo 27 sono state accettate, in netto contrasto con gli Stati Uniti o l’Unione Europea che ne riconosce decine di migliaia.
La linea sui rifugiati del Ministero della Giustizia è ancora piuttosto restrittiva.
“Quest’anno ci si aspetta che le richieste di asilo superino le 10.000 unità, ma sembra anche che quelle riconosciute saranno lo stesso numero dell’anno scorso”, ha dichiarato Saburo Takizawa, presidente dell’Associazione del Giappone per l’UNCHR e professore della Graduate School of Toyo Eiwa University.
In virtù della Convenzione delle Nazioni Unite sullo Status di Rifugiato, a cui il Giappone ha aderito nel 1981, i rifugiati sono persone che hanno il giustificato timore d’essere perseguitate per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche e incontrano anche altri requisiti come quello della mancata protezione da parte del loro Stato.
Una volta che a un richiedente viene concesso lo status di rifugiato, lui/lei può rimanere nel paese con un regolare permesso di lavoro, benefici sociali e supporto linguistico. Tuttavia, la determinazione dello status di rifugiato è un’altra questione. Alla maggior parte dei richiedenti non viene concesso il beneficio del dubbio.
“Nel caso del Giappone, molti richiedenti hanno scopi diversi (a partire dalla richiesta d’asilo)…In primo luogo, ci sono seri dubbi sulla regolarità delle loro applicazioni come rifugiati”, ha detto Hiroshi Kimizuka, direttore della divisione giudiziaria dell’Ufficio Immigrazione del Ministero della Giustizia.
Molti, ha aggiunto, fanno richiesta per trovare un lavoro in Giappone.
Se da un lato è possibile che esistano persone che cercano di approfittare del sistema che prevede sei mesi di lavoro regolare ai richiedenti asilo, è anche vero che molti si oppongono al fatto che il sistema di determinazione dello status di rifugiato in Giappone si focalizza eccessivamente su aspetti che possono bollare come incompatibili i richiedenti, con il risultato che molti a cui servirebbe davvero protezione, si vedono negata la richiesta.
Shiho Tanaka, coordinatore dell’Associazione Giapponese per i Rifugiati, un’organizzazione no profit che fornisce assistenza legale, alloggi e cibo ai rifugiati, ha detto: “Abbiamo sicuramente incontrato molte più persone idonee per lo status di rifugiato dei 27 che sono stati riconosciuti”. Ha anche aggiunto che a causa del rigido sistema nazionale, richiedenti asilo che scappano da persecuzioni e violazioni dei diritti umani sono lasciati senza protezione.
Secondo l’Ufficio Immigrazione, nei cinque anni prima della fine del 2015, solo 60 siriani richiedenti asilo hanno avuto il riconoscimento di status in Giappone. Molti si sono visti negati lo status di rifugiato perché secondo il diritto nazionale non riconosce i rifugiati di guerra nella sua interpretazione della Convenzione dell’ONU.
Anche nei casi in cui i richiedenti temono di essere perseguitati politicamente o affermano di aver visto la propria famiglia uccisa dalla polizia segreta del governo, molte delle loro applicazioni non vengono considerate per mancanza di credibilità o prove evidenti, cosa che gli avvocati riconoscono come conseguenza delle rigide linee guida.
Se ai rifugiati siriani è per lo meno concesso un permesso speciale per risiedere in Giappone, per i richiedenti non siriani ricevere questo riconoscimento è molto difficile perché sono solitamente costretti ad attendere anni, se non decenni, in un limbo legale.
Ali Ayyildiz, un 42enne curdo, fa richiesta di asilo in Giappone da 17 anni perché ha paura per la sua sicurezza personale dopo che è stato arrestato dalla polizia turca per aver partecipato a delle attività politiche a Gaziantep.
Adesso è sposato con una donna giapponese e vive a Tokyo con un permesso provvisorio, che gli permette di rimanere fuori prigione ma che lo limita nei movimenti e lo costringe ad andare all’ufficio immigrazione ogni due mesi.
Al contrario di suo fratello, che è scappato dalla Turchia per le stesse ragioni e ha ricevuto lo status di rifugiato in Nuova Zelanda molto tempo fa, Ayyildiz è stato arrestato due volte in Giappone, non ha l’assicurazione sanitaria, non gli è permesso lavorare legalmente e dipende dal supporto della sua famiglia.
“Sono completamente disorientato. Non posso lavorare e sono trattato come un criminale”, ha detto Ayyildiz, aggiungendo che vive con il terrore di essere deportato in Turchia da un momento all’altro dove verrebbe considerato un terrorista e ricercato dalla polizia.
Gli esperti identificano nel peso economico, le preoccupazioni di una possibile minaccia alla sicurezza e la mancanza di comprensione da parte dell’opinione pubblica, i fattori chiave che impediscono al Giappone di aprire le porte ai rifugiati.
Kimzuka dell’Ufficio Immigrazioni ha detto che ci sono dei benefici nell’accettare i rifugiati come la promozione del multiculturalismo e un maggior contributo umanitario da parte del Giappone; tuttavia, ha anche aggiunto che bisogna soppesare i meriti e i possibili rischi, come i costi economici e le minacce alla sicurezza proprio come hanno dovuto fare i paesi europei che hanno subito gli attacchi terroristici.
Altri, tuttavia, hanno fatto notare che è improbabile organizzare un attacco terroristico abusando del sistema dei rifugiati del Giappone, sarebbe molto più facile entrare come turisti che presentare domanda come rifugiato preparando una pila di documenti e sottostando a un processo legale che può durare anche tre anni.
Takizawa, dell’Associazione Giapponese per l’UNCHR, fa anche notare che c’è un costo invisibile causato dalla chiusura delle porte ai rifugiati, nonostante l’assumersi un onere finanziario.
Dato “il piccolo numero di rifugiati riconosciuti, il contributo del Giappone è visto come diplomazia da libro di testo”, da tutti i paesi che invece accettano un gran numero di rifugiati. “Considerata l’intera situazione, il Giappone non è un free rider, ma l’impressione che esso lo sia, offusca l’immagine che all’estero hanno del Giappone”.
Per migliorare il sistema, gli esperti dicono che il governo dovrebbe rendere più fattibili alcuni dei criteri per avere lo status di rifugiato o allargare alla Siria il programma del paese terzo più vicino. Aggiungono, che anche una riforma alla politica sull’immigrazione potrebbe aiutare visto che al momento è carente di politiche d’integrazione efficaci.
In aggiunta alle possibili riforme a livello governativo, Takizawa propone anche che le grandi compagnie assumano i rifugiati in modo da bypassare la determinazione dello status di rifugiato e contemporaneamente aiutare le persone bisognose di protezione e di un lavoro.
Infatti, alcune iniziative per sfruttare le skill dei rifugiati stanno mostrando i loro effetti. Il JAR sta aiutando i rifugiati e le aziende a far incontrare la domanda di lavoro con le abilità dei lavoratori, mentre la Fast Retailing Co. ha iniziato ad assumere lavoratori rifugiati nei suoi negozi Uniqlo giapponesi e ha intenzione di aumentare il numero di tali assunti a 100 nel prossimo futuro.
Tuttavia, gli esperti ammettono che per poter vedere questi cambiamenti anche nelle politiche di governo e nelle pratiche lavorative, è importante migliorare anche la solidarietà sociale verso i rifugiati.
Secondo un sondaggio condotto a gennaio 2016 da Yahoo! Japan News, solo l’11.7% dei 164.073 intervistati è convinto che il Giappone debba accogliere i rifugiati mentre l’83.1% ha dichiarato che una simile scelta dovrebbe essere presa dopo attenta considerazione.
“In Giappone stiamo soffrendo…Non sono venuto qui per motivi economici. Anche se devo combattere contro dei problemi economici, voglio solo poter vivere con la mia famiglia…Voglio che il Giappone ci aiuti a porre fine alle nostre difficoltà”, ha dichiarato Ismael.
Fonte: JapanToday, https://www.japantoday.com/category/national/view/asylum-seekers-trapped-in-limbo-as-japan-keeps-door-closed
Featured Image Source: Korea Times